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Ricolfi: “Ci vorrebbe una sinistra blu”
Mirella Serri, La Stampa, 26 febbraio
Redazione InPiù 02/03/2024
Ricolfi: “Ci vorrebbe una sinistra blu”
Il sociologo Luca Ricolfi, innovatore di schemi e parametri interpretativi, è presidente e responsabile scientifico della Fondazione David Hume e ama sollevare le questioni più scomode, quelle a cui in pochi provano a dar risposta. Aveva fatto discutere con il recente La mutazione. Come le idee di sinistra sono migrate a destra (Rizzoli), in cui cercava di spiegare i più inaspettati sconvolgimenti politici: ovvero come mai destra e sinistra si sono scambiate la base sociale e, mentre i più poveri e gli operai votano a destra, i più abbienti si volgono a sinistra. Adesso si avvicinano le elezioni europee. Ricolfi, intervistato da Mirella Serri per La Stampa del 26 febbraio scende nuovamente in campo e ripropone questo excursus tra vecchie e nuove povertà (che uscirà a marzo) con una nuova e polemica introduzione, Un’altra sinistra è possibile? in cui si rivolge direttamente ai riformisti italiani. Professore, la sinistra è impegnata soprattutto nelle cosiddette ‘battaglie di civiltà’: unioni civili, eutanasia, liberalizzazione delle droghe, diritti Lgbtq+. La parola d’ordine è ‘inclusione’. Basta per convincere gli strati popolari a votarla? «Ne dubito, se non altro perché fra le categorie di cui – in nome dell’accoglienza – si auspica l’inclusione vi sono anche gli immigrati irregolari, che ai ceti popolari creano almeno tre problemi: pressione al ribasso sui salari (il cosiddetto ‘dumping’), insicurezza nelle periferie, competizione nell’accesso al welfare, specie sanitario. È il caso di ricordare inoltre che il tasso di criminalità degli irregolari è di 20-30 volte maggiore di quello degli italiani, e che l’immigrazione irregolare è essenzialmente un costo perché non paga né le tasse né i contributi. La sinistra ha tutto il diritto, anzi il dovere, di proporre soluzioni diverse da quelle della destra, ma non può ignorare o minimizzare il problema, almeno se vuole recuperare una parte del voto popolare». Lei ha sempre considerato un suo punto di riferimento L’età dei diritti di Norberto Bobbio. Lo è ancora oggi? «Sì, perché Bobbio istituisce una distinzione cruciale–oggi perlopiù ignorata – fra legittime aspirazioni e diritti in senso proprio. Oggi si tende a chiamare diritti, e a trattare come diritti naturali e universali, aspirazioni (ma talora Bobbio le chiama pretese) che non hanno ancora un riconoscimento giuridico che ne garantisce il godimento effettivo. È un punto molto importante, perché spiega due cose. Primo, come mai nel nostro sistema sociale sono così diffusi vittimismo, frustrazione, aggressività, rabbia. Secondo, come mai da decenni non si osservano più grandi movimenti sociali e grandi lotte, come quelle del ciclo 1967-1980». Perché mai la rivendicazione di diritti dovrebbe ostacolare le lotte? «È semplice: perché se pensi che hai diritto a qualcosa il tuo atteggiamento è di esigerla dallo Stato, questa cosa cui hai diritto; se invece pensi che la tua sia solo un’aspirazione, magari anche un po’ controversa, ti poni il problema di portare dalla tua parte chi non è d’accordo, e di lottare per ottenere ciò cui aspiri, come mezzo secolo fa è successo per divorzio e aborto. Le aspirazioni producono impegno, i diritti presunti risentimento. In questo, pur riconoscendo l’importanza del contributo di Bobbio, mi sento più in sintonia con Simone Weil, che tendeva a ragionare in termini di doveri e di conquiste più che di diritti».
(Leggi l'intervista completa sul sito InPiù)
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