Il fuoco che ti porti dentro
Antonio Franchini, Marsilio 2024
Ex libris - Elisabetta Bolondi 13/04/2024
Il fuoco che ti porti dentro
Antonio Franchini in questo coraggioso libro confessa il suo rapporto difficile con la madre Angela, attraverso una narrazione a tinte forti, intervallata da riflessioni, considerazioni sui rapporti familiari, sul nostro Paese, su Napoli, dove lo scrittore ha trascorso l’infanzia e la prima giovinezza, su Milano, dove invece lavora e dove ha trasferito la madre ormai vecchia. Angela è una donna dal carattere insopportabile, imprevedibile, livoroso contro tutto e tutti, capace di furie incontenibili, di insulti ai suoi figli, di una visione del mondo pessimista, razzista, piena dei luoghi comuni più scontati che mostrano ristrettezza nella concezione del mondo. Priva di amici, la ragazzina nata in provincia di Benevento, la patria delle streghe, si è trasferita bambina a Napoli, la città della misteriosa e straripante energia vulcanica di cui lei stessa appare dotata. Pur avendo studiato, diplomata al liceo classico e poi studentessa universitaria, dal fisico esuberante, con i tratti tipici delle donne meridionali, sposerà un uomo molto più grande, proveniente da una classe sociale superiore alla sua, e dal quale avrà tre figli: oltre al narratore Antonio, due sorelle che subiranno le prepotenze, le cattiverie di una madre alla cui influenza nefasta non riescono a sottrarsi. Vale la pena citare l’incipit di questo mémoir di forte presa emotiva sui lettori : “Benché da molti sia considerata una bella donna, mia madre puzza. Tra noi se ne parla senza allusioni…..il corpo umano puzza e lo testimoniano le filastrocche che mia nonna , sua madre, ci insegna …” Ecco comparire la parte più interessante e coinvolgente di questo libro, la presenza costante della lingua napoletana, un dialetto, che certamente manifesta invece la dignità culturale millenaria del Regno del Sud. Angela, che preferisce essere chiamata col suo secondo nome Carmela Candida, esprime quelli che il suo figlio scrittore riconosce come disvalori, una educazione a rovescio che gli ha impartito, intrisa di diffidenza, disistima, malanimo, verso tutto e tutti. Nel lungo romanzo ritroviamo tutte le fasi della crescita della famiglia al cui centro resta sempre lei, il suo rapporto coniugale asimmetrico, il suo odio per la sorella del marito Anna, per i vicini di casa, per gli amici dei figli; entra a gamba tesa nella vita della figlia più piccola che si lascia devastare, invadere, distruggere. Le espressioni più che colorite, grevi, insultanti che escono dalla bocca di Angela sono terribili e non risparmiano nessuno: né i figli, né i loro amici, né i parenti vicini e lontani, né le altre etnie, calabresi, siciliani, “sardegnoli”: di tutti parla con disprezzo, esprimendo la frustrazione di chi forse pensava di meritare di più da una vita che si rivelerà alla fine mediocre. Quando, ormai vedova, dovrà trasferirsi a Milano accanto al figlio “ ‘o scrittore”, di cui mai ammette di essere orgogliosa, scatenerà contro il Nord, contrapposto ad un mitico Sud, tutte le contumelie di cui il suo lessico napoletano infarcito di citazioni eduardiane, Natale in casa Cupiello citato ad ogni occasione, è capace. I cibi tipici della Campania, “’e mulignane”, a Milano sono piene d’acqua, perché Milano è una città fangosa, mentre Napoli vive sulla roccia lavica più ricca di sostanze nutritive. Nel libro compaiono altri personaggi notevoli: il padre del narratore, che dopo pranzo si mette vestaglia per la siesta, per poi tornare a studio fino alle nove di sera immerso nelle sue carte e negli amati libri; lo zio Francesco, ormai milanese, il Cartier d’oro sul bracciolo della poltrona, che non ha mai abbandonato le sue radici meridionali, che accoglie il nipote Antonio emigrato da Napoli impartendogli la sua filosofia; e infine tutti i comprimari che si muovono attorno alla gigantesca figura di Angela, figlie, cognati, badanti, portinai, pizzaioli, infermieri, medici, italiani e stranieri, tutti costretti a fare i conti con questa personalità sopra le righe, a tratti simpatica anche se causa di disperazione per i figli che se ne sono fatti carico fino alla morte. Nelle pagine conclusive Franchini scrive: “Per me è stata una scrittura liberatoria, non ho cercato nessuna resa dei conti postuma: non è leale battersi coi morti, si lotta contro i vivi, e noi da vivi ci siamo battuti a lungo…..Una cosa però l’ho fatta, ho invitato i lettori a conoscerla, come facevo con gli amici che invitavo a cena per fargli vivere un’esperienza estrema.”. Ecco estrema, l’aggettivo che più si addice a questa donna che ha espresso il peggio e il meglio di un certo carattere meridionale, il fuoco della passione, il senso di superiorità di chi viene dal popolo dei Sanniti, che hanno fatto piegare la testa ai Romani, alle Forche Caudine, e che hanno saputo raccontare attraverso una lingua dalle espressioni intraducibili per la loro efficacia, molto del carattere nazionale.
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