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L'incerto cammino del PNRR

Un Piano da salvare con i grandi operatori

Giuseppe Roma 24/05/2023

L'incerto cammino del PNRR L'incerto cammino del PNRR La terza rata del PNRR da 19 miliardi, in scadenza lo scorso 31 marzo, resta bloccata a Bruxelles. Seppure la Commissione appare formalmente disponibile al dialogo, è difficile valutare come e quando si potrà sciogliere il groviglio di questioni che hanno provocato lo stallo. Innanzitutto, va verificato l’effettivo raggiungimento dei 55 fra target e “milestone” previsti dal cronoprogramma, condizione per liberare i pagamenti. Un certo margine di flessibilità è stato finora possibile, ma continuano a pesare negativamente alcune questioni, come le concessioni balneari, su cui, da anni, da noi si combatte un duello all’ultimo sangue poco comprensibile negli altri paesi europei. Ci sarebbe comunque uno spazio per una convergenza sulle condizioni più strettamente tecniche, se non si aggiungessero ulteriori fattori di incertezza politica. Pensare che la mancata ratifica del MES possa costituire un mezzo efficace per rafforzare la posizione italiana a Bruxelles lascia qualche dubbio. Può, anzi, rivelarsi un’arma a doppio taglio. Anche se funzionasse certo non accrescerebbe l’affidabilità e la fiducia verso l’Italia. Che ci inventeremo poi per la quarta rata? Anche perché le posizioni del governo sono ambigue. Una corrente di pensiero vorrebbe ridimensionare il piano, al contrario il ministro delle Infrastrutture, Salvini, non intende perdere un euro concentrando volentieri sotto la sua giurisdizione tutte le risorse dei progetti di difficile attuazione. Depotenziare il piano farebbe venir meno le ragioni per cui è nato.
 
Le ingenti risorse del Next Generation UE hanno un preciso scopo: dare una scossa alla stagnante economia europea tramite investimenti per il futuro. Noi, invece, rischiamo di interpretarlo come l’ennesimo sussidio. Ne è prova l’estrema frammentazione dei progetti. Inoltre, nonostante le riforme previste e fin qui approvate, non sembrano rimosse le ragioni che da decenni impediscono l’attuazione di programmi comunitari. Intanto, non abbiamo mai messo mano ai meccanismi di formazione dei piani per declinare i principi generali (il riequilibrio regionale, le transizioni, le risorse umane etc.) secondo le esigenze dei territori di cui dovrebbero provocare lo sviluppo. Inoltre, programmi e progetti sono sempre monchi della parte finale, ovvero della concreta gestione degli interventi. Ma spessissimo non si riesce nemmeno ad avviare il processo, affossato già prima di partire nella fase dell’appalto. Qui si consuma un logorante conflitto fra i numerosi soggetti che hanno titolo a interferire nelle decisioni. Non volendo gettare la spugna, per salvare il PNRR dovremmo concentrare gli sforzi sui progetti di sistema che hanno come titolari imprese robuste ed efficienti, e tentare un allungamento dei tempi per rendere attuabili gli interventi spalmati sui territori.
 
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