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Pizzaballa “Sarà pace vera solo quando si affronterà la questione palestinese”

Francesca Caferri, la Repubblica, mercoledì 25

Redazione InPiù 28/06/2025

Pizzaballa “Sarà pace vera solo quando si affronterà la questione palestinese” Pizzaballa “Sarà pace vera solo quando si affronterà la questione palestinese” Nel Medio Oriente sara vera pace solo quando sarà affrontata la questione palestinese: Così il Patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, 60 anni, intervistato da Francesca Caferri per la Repubblica del 25 giugno, giorno del cessate il fuoco fra Israele e l’Iran. Cardinale Pizzaballa, lei conosce molto bene questa zona di mondo: vive a Gerusalemme dal 1990, è stato Custode di Terra Santa, oggi è la  guida spirituale dei cattolici della regione e si confronta spesso con i leader politici israeliani, palestinesi e non solo. Crede che questo cessate il fuoco possa essere un primo passo per la pace? «Pace è una parola impegnativa. Il cessate il fuoco è  importante perché evita che le tensioni si espandano a tutta la regione, ma la pace richiederà tempi lunghi e sarà molto difficile. E comunque ogni speranza di pace sarà fragile e instabile finché non si affronterà la questione palestinese». Il grande tema al centro della regione. Che però, in questi giorni di scontro diretto fra Israele e Iran, è stato di nuovo dimenticato: nonostante ciò che accade a Gaza, e anche in Cisgiordania….«Esatto. Ma fino a quando non si affronterà in maniera seria e radicale la questione palestinese, qualsiasi futuro assetto regionale — e chissà se sarà necessario avere un nuovo assetto — resterà incompleto. Il mondo arabo è collegato: ci sono i confini fra i vari Stati, ma ci sono anche legami molto forti che vanno al di là dei confini. La questione palestinese è uno di questi legami. Non è la prima volta che viene messa da parte: succede, ci sono alti e bassi. Purtroppo manca una visione politica». E cosa serve, per rilanciare questa visione? «Abbiamo bisogno di una nuova leadership politica. Non ce ne è una capace di fare questo adesso, da nessuno dei due lati». I cristiani in questa situazione che posizione hanno? «Noi siamo pochi. Inutile dire che la nostra preoccupazione principale ora è per la piccola comunità di Gaza: 541 persone che sono diventate un simbolo di resilienza in tutto il mondo. Sono grato della testimonianza che danno, perché sono in condizioni estremamente difficili ma continuano a vivere nella fede. Ma la situazione è molto complicata anche in Cisgiordania: c’è un continuo deterioramento delle condizioni di vita, posti di blocco, permessi di lavoro cancellati, villaggi continuamente sottoposti alla violenza dei coloni senza che nessuno intervenga. È difficile avere una vita normale, lavorare, andare in ospedale, spostarsi: e non si capisce fino a quando durerà, se e come se finirà. Tutto questo crea un senso di insicurezza, di sfiducia, di disorientamento, complesso da descrivere. Si parla molto della fame di Gaza: ma anche in Cisgiordania c’è fame, perché la gente non ha soldi per comprare da mangiare. Pensi solo alle famiglie, e sono migliaia, che dipendevano dall’industria del turismo». (L'intervista completa sul sito InPiù)
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