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Benny Morris: «La società israeliana è molto più unita sull'attacco all'Iran che su quello a Gaza»

Lorenzo Cremonesi, Corriere della Sera, 18 giugno 2025

Redazione InPiù 21/06/2025

Benny Morris: «La società israeliana è molto più unita sull'attacco all'Iran che su quello a Gaza» Benny Morris: «La società israeliana è molto più unita sull'attacco all'Iran che su quello a Gaza» «Va compreso che la società israeliana è oggi molto più unita e concorde con la decisione del governo Netanyahu di attaccare l’Iran che non con la guerra contro Hamas a Gaza, specie negli ultimi mesi», sostiene lo storico israeliano Benny Morris, docente universitario e studioso del conflitto israelo-palestinese, intervistato da Lorenzo Cremonesi sul Corriere della Sera del 18 giugno. Come spiega l’attacco israeliano senza alcuna provocazione da parte iraniana?  «Qui domina una genuina e diffusa paura del programma nucleare iraniano. Netanyahu lo denuncia da decenni. Prevale l’idea che l’Iran voglia costruire la “Bomba” per distruggerci, i suoi leader continuano a minacciarci apertamente da Khomeini nel 1979 a Khamenei ora».  Soltanto gli americani hanno le bombe perforanti necessarie. Prevede che verranno mandate truppe scelte israeliane?  «Non credo vi sarà una guerra di fanterie in Iran. Magari qualche piccolo blitz di commando, che peraltro penso siano già sul posto da anni. Forse attaccheranno il sito di Fordow, sotto le montagne. E forse possiamo fare a meno degli americani. Non dimentichiamo che pochi mesi fa siamo riusciti a uccidere Hassan Nasrallah, il leader di Hamas, nei bunker di Beirut. Abbiamo lanciato bombe di precisione, che una dopo l’altra sono penetrate nelle barriere di cemento».  L’ex leader laburista Yitzhak Rabin sosteneva che una delle ragioni che lo spinsero a trattare la pace nel 1993 era stata il panico degli israeliani due anni prima, quando i missili iracheni Scud lanciati da Saddam Hussein mostrarono le debolezze del Paese. Oggi?  «Vero, sembravamo più fragili rispetto alle generazioni del passato. Rabin disse anche che occorreva fare la pace con i palestinesi per reagire alle minacce iraniane. E però non credo alla nostra fragilità sociale. Questa cosa viene ripetuta per ogni generazione dopo quella dei padri fondatori dell’insediamento sionista. Si diceva già nel 1967 che i nuovi giovani preferivano perdere tempo nei caffè del lungomare di Tel Aviv, piuttosto che combattere come i loro padri».  E però?  «Ad oggi gli iraniani hanno ucciso circa 25 israeliani in quattro giorni e danneggiato parecchi edifici. Non vedo alcun collasso sociale, nonostante ci sia stanchezza. E però nel frattempo la società iraniana soffre molto di più. Hanno subito centinaia di morti, abbiamo assassinato i loro generali, gli scienziati, il loro governo deve nascondersi: per gli iraniani ogni giorno è peggio».  
 
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