Tarchi: «Ricorrere ai giudici non basta a tagliare le gambe ai populisti»
Ricorrere ai giudici non basta a tagliare le gambe ai populisti. Lo afferma il politologo e ordinario di Scienza politica a Firenze,
Marco Tarchi, intervistato da
Federico Novella per
La Verità del 12 maggio. Professor Tarchi: habemus Papam americano. E adesso? «A giudicare dai primi passi, mi sembra che la scelta sia caduta su un uomo di dottrina, interessato ai problemi sociali ma soprattutto alla restaurazione della fede in un mondo che, a partire dall’Occidente, ha sepolto le preoccupazioni spirituali sotto la coltre di materialismo pratico della società consumistica. Forse non piacerà a Trump, ma a chi non coltiva il mito dell’american way of life probabilmente sì». L’altro osservato speciale è George Simion, in Romania. Come spiega il suo successo al primo turno delle presidenziali, e quali saranno le conseguenze in Europa di una sua eventuale vittoria? «Il fatto che Simion abbia quasi raddoppiato la percentuale di voti raggiunta al primo turno della precedente tornata elettorale presidenziale dall’outsider Calin Georgescu dimostra almeno tre cose. Primo, che ricorrere a strumenti poliziesco-giudiziari per impedire agli elettori di esprimere la loro protesta non paga. Secondo, che anche senza profluvi di messaggi su TikTok ipoteticamente pilotati dalla Russia i candidati che contestano le politiche dell’attuale governo sono in grado di affermarsi. Terzo, che il malessere dell’opinione pubblica rumena è in ulteriore crescita. Le cause? Un elevato livello di corruzione e inefficienza della classe politica e un desiderio di novità: gli stessi fattori che hanno determinato gran parte dei successi di formazioni populiste in molti Paesi europei. Qualora Simion venisse eletto presidente, modererebbe i toni delle sue affermazioni, come ha fatto Meloni in Italia. Anzi, ha già cominciato a farlo. Ma l’Unione europea lo guarderà in cagnesco». mento della situazione economica, in Germania ha assunto ormai una dimensione endemica la questione migratoria, con le sue pesanti conseguenze sull’ordine pubblico (si pensi ai ripetuti attentati di matrice islamista), sul mercato del lavoro e sulla convivenza sociale. Merz, in campagna elettorale, ha cercato di rincorrere l’AfD su questi temi per limitare i danni, ma poi ha scelto l’alleanza con i socialdemocratici. Era inevitabile che una parte dei suoi elettori non la prendesse bene». Per la prima volta un cancelliere non viene eletto al primo colpo nel passaggio parlamentare a Berlino. Un segnale preoccupante? «Per la coalizione di governo, senza dubbio. Per la tenuta complessiva del sistema, no di certo. Sono stati ormai numerosi gli accordi multipartitici in Germania, e l’Italia insegna che le alleanze fra forze eterogenee non comportano rischi per la democrazia. Semmai possono produrre intoppi nella adozione delle politiche promesse e scontentare gli elettori». In Francia Marine Le Pen non sarà candidabile per motivi giudiziari. L’opposizione ai partiti sovranisti viaggia su binari non politici? «Direi proprio di sì. In un caso analogo, il partito centrista Modem se l’era cavata con pene ridotte, nessuna pesante pronuncia di ineleggibilità e l’assoluzione del suo leader Bayrou, oggi alla testa del governo, di cui non era stata provata la responsabilità diretta negli illeciti. Può essere che il Rassemblement national abbia sbagliato strategia difensiva, attaccando frontalmente gli accusatori, ma l’azzoppamento della candidata favorita a due anni dall’elezione sa tanto di mossa – e vendetta – politica». L’Unione europea sarà costretta a cambiare assetto, di fronte ai verdetti elettorali che sconfessano la dirigenza di Bruxelles? Quale sarà l’esito di queste tensioni? «Temo che non succederà niente, o ben poco. Von der Leyen mostra un atteggiamento sprezzante verso chiunque metta in discussione la sua linea e tira dritta per la sua strada, sperando che il sostegno dei poteri forti, economico e giudiziario, possa esserle sufficiente a superare le difficoltà. I dirigenti dell’Unione vedono i populisti come nemici con cui non si può venire a patti e sembrano intenzionati a proseguire nella strategia del muro contro muro». (
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