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Lucio Martino: «Trump ha fretta perché teme il collasso del governo di Kiev»

Federico Novella, La Verità, 10 marzo

Redazione InPiù 15/03/2025

Lucio Martino: «Trump ha fretta perché teme il collasso del governo di Kiev» Lucio Martino: «Trump ha fretta perché teme il collasso del governo di Kiev» «Trump ha fretta perché teme il collasso del governo di Kiev». Intervistato da Federico Novella per La Verità del 10 marzo, Lucio Martino, esperto di politica internazionale, fa il punto sulla situazione ucraina. Gli ultimi dieci giorni hanno rivoluzionato il concetto di diplomazia, a cominciare dallo scontro Trump-Zelensky nello studio ovale della Casa Bianca. Non è stata una umiliazione per il leader ucraino? «Nessuna umiliazione. Dopo aver visto e rivisto la registrazione integrale dell’incontro in lingua originale, non ho alcun dubbio: Zelensky si è presentato alla Casa Bianca senza avere alcuna intenzione di firmare l’accordo con Trump. Ha cercato, e trovato, il modo per far naufragare questa possibilità». Domani a Riad ci sarà un tentativo di ricucire, e Zelensky ha rilasciato dichiarazioni concilianti. È un inginocchiamento agli Usa? «È sbagliato anche parlare di inginocchiamento ucraino. Al contrario, se si legge con attenzione il messaggio di Zelensky, si scopre che continua a confermare le sue posizioni, e si ritrovano tutti i concetti principali da lui già esposti alla Casa Bianca. Il leader ucraino si dice pronto ad una tregua, è vero, ma solo nei combattimenti aerei e marittimi. E una tregua del genere è impensabile». Perché? «Una tregua si fa quando entrambe le parti guadagnano qualcosa. Ma siccome gli attacchi aerei oggi vengono condotti prevalentemente dai russi, la tregua ‘aerea’ non verrà mai accettata da Mosca. Allo stesso modo, anche un cessate il fuoco sui mari sarebbe a esclusivo vantaggio di Kiev, perché riaprirebbe in pieno le vie di commercio attraverso il porto di Odessa, e anche questo non rientra minimamente negli interessi russi. Insomma, chiedere una tregua del genere è come non chiederla affatto». Qual è la strategia di Donald Trump? «Trump ha nei confronti dell’Ucraina una serie di preoccupazioni. Non vuole ritrovarsi a presiedere un collasso ucraino analogo a quello che gli Stati Uniti hanno affrontato in Vietnam, o più recentemente in Afghanistan. Sembrano un po’ tutti convinti che il crollo del governo di Kiev sia tutt’altro che improbabile, e da qui la spinta della Casa Bianca per un accordo tempestivo. Non dimentichiamo poi che Trump ha un nemico che giudica ancor più insidioso della Federazione Russa». E quale sarebbe? «L’inflazione. Per combatterla, Trump deve abbattere velocemente i costi dell’energia. E lo sta facendo rinnegando la rivoluzione ‘green’ voluta dalla precedente amministrazione, e ricominciando a estrarre quanto più gas e petrolio possibile. Ma non basta, deve intervenire anche a livello globale, chiedendo aiuto all’Arabia Saudita, e normalizzando i rapporti con la Federazione Russa, che nell’ottica di Trump deve tornare ad essere protagonista nel mercato globale dell’energia». Non c’è anche una necessità strategica di riavvicinarsi alla Russia per allontanarla dal vero competitor, ovvero la Cina? «C’è anche questo ma non gli darei un grande peso, Trump ha obiettivi molto più immediati. La Cina per adesso non è all’altezza degli Usa sul piano strategico, forse lo sarà tra 15 o 20 anni». Le uscite pirotecniche di Trump, anche su Canada e Groenlandia, sono solo tattica? «Fanno parte della scenografia del personaggio, del suo modo di relazionarsi con il suo elettorato. Ma certe convinzioni ‘trumpiane’ sono radicate nella mentalità americana. Per esempio, buona parte dei dazi nei confronti dell’Europa e della Cina sono stati riconfermati dall’amministrazione Biden, perché rispondono a un’esigenza avvertita universalmente negli Stati Uniti: difendere l’occupazione. A differenza di altri Paesi, gli Usa possiedono al loro interno una disponibilità di materie prime, una capacità industriale, un mercato e una quantità di manodopera sufficiente per fare a meno di larghi settori del commercio internazionale. L’amministrazio ne Trump è pronta a chiudere le frontiere, perché convinta di poterselo permettere». Che fine ha fatto l’opposizione americana a Trump?  «Non ho visto grandi barricate contro la Casa Bianca da parte dei democratici. Finora è un’opposizione che non morde. Viene conte stato su problemi che riguardano soprattutto la diversità e l’inclusione, l’immigrazione, ma in politica estera Trump non trova grande resistenza. Non ho visto grandi reazioni alle uscite di Trump su Panama o sulla Groenlandia. Del resto i democratici sono privi di una vera leadership, gli uomini più influenti del partito appartengono al passato». (L'intervista completa sul sito InPiù)
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