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Auschwitz e la scelta di Sisifo. Intervista a David Bidussa

Lia Tagliacozzo, il manifesto, 25 gennaio 2024

Redazione InPiù 26/01/2025

Auschwitz e la scelta di Sisifo. Intervista a David Bidussa Auschwitz e la scelta di Sisifo. Intervista a David Bidussa «La prima cosa da dire è che la liberazione di Auschwitz non è avvenuta ottant’anni fa ma è entrata nella coscienza collettiva solo quando abbiamo davvero cominciato a narrare per raccontarla». Storico delle idee, David Bidussa, a lungo direttore della Fondazione Feltrinelli, studioso della contemporaneità con molti titoli all’attivo (l’ultimo è Pensare stanca: passato presente e futuro dell’intellettuale, Feltrinelli), in una intervista di Lia Tagliacozzo, sul manifesto del 25 gennaio, ha risposto alle domande sul significato del Giorno della memoria, a ottant’anni dalla liberazione di Auschwitz da parte delle truppe dell’Armata rossa. Ha senso continuare a ricordare Auschwitz o è una memoria che va lasciata andare. È forse giunto il momento di consegnarla all’oblio? Ciò che racconti è il preambolo per ciò che vuoi fare dopo. Ritengo che celebriamo la liberazione di Auschwitz perché, in qualche modo, siamo capaci di costruire un domani: la liberazione del più grande campo di sterminio invece, nella mia opinione, è un tempo e un territorio di nessuno. Non è ancora «domani». Auschwitz, quindi, è fuori dalla storia? No, affatto, significa che è il momento più profondo dell’esserci nella storia. Usiamo un’immagine letteraria: quella di Albert Camus sul mito di Sisifo. Sisifo può decidere di rimanere seduto a guardare la pietra che sta in fondo al baratro. In quel frangente è sconfitto. Può però decidere di scendere nell’antro e ricominciare a spingere: nel momento in cui prende quella decisione, si alza in piedi e scende verso l’antro, lui è più forte della pietra. Penso che per noi Auschwitz abbia senso esclusivamente se lo immaginiamo come Sisifo che si rialza e scende: fin quando semplicemente guardiamo l’antro e il masso che sta in fondo, siamo subordinati a quella pietra. E cosa significa oggi «scendere nell’antro»? Significa non assumere come scena della riflessione solo e prevalentemente la figura della morte, la figura del degrado del corpo e provare a considerare un’altra forma della politica. Come si può restituire una prospettiva alla politica dopo Auschwitz? Significa per prima cosa sapere che si può sbagliare. Esci da quel buco se hai dubbi, non se hai certezze. È uno dei difetti della politica di questi tempi ritenere che si possa rispondere ai disastri immaginando di aver ragione: devi mettere in discussione il tuo paradigma culturale perché non è esente da quell’esito. 
 
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