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Aviva Sigal: «Senza aria, bastonati. Stupravano le ragazze»
Greta Privitera, Corriere della Sera, 7 ottobre
Redazione InPiù 13/10/2024
Aviva Sigal: «Senza aria, bastonati. Stupravano le ragazze»
Inspira ed espira lentamente, come se fosse ancora su quel materasso lurido su cui è stata sdraiata, zitta, quasi immobile, per un numero indefinito di giorni. «Respiravamo così», dice, mostrandocelo. «Non c’era ossigeno, il soffitto era talmente basso che non potevamo nemmeno sederci», continua Aviva Sigal, 63 anni intervistata da Gaia Privitera per il Corriere della Sera del 7 ottobre. L’ex maestra d’asilo nata in Sudafrica, arrivata bambina in Israele, ricorda bene la prima boccata d’aria all’uscita da quel tunnel-prigione che corre sotto la martoriata terra di Gaza: «È come se fossi stata partorita per la seconda volta». Il 7 ottobre, Aviva è stata rapita dai miliziani di Hamas con il marito Keith, 65, dalla camera da letto e safe room di casa, a kibbutz Kfar Aza, dove sono state uccise 52 persone. Nell’unica settimana di tregua, dopo 51 giorni di prigionia, Aviva è stata liberata. Keith è rimasto nella Striscia con altri cento ostaggi: «La mia missione è riabbracciarlo», dice la moglie, cambiando tono. Fa parte del Forum delle famiglie? «Sì, ora vivo per riportare a casa mio marito e tutti gli altri: conosco la fame, le torture. So quello che stanno passando. Ma ogni giorno sembra sempre più difficile». Perché? «Quando ho letto che l’esercito israeliano è entrato nel sud del Libano ho pianto. Si aggiunge sempre un’altra guerra da fare e la pace e la liberazione degli ostaggi passano in secondo piano. Io e mio marito abbiamo passato la vita cercando di trovare un dialogo con la Palestina. Voglio la pace a Gaza e che i 101 israeliani prigionieri tornino da noi. Netanyahu deve ascoltarci». Ad aprile Hamas ha pubblicato un video in cui Keith diceva quanto gli mancavate. «È l’uomo più dolce e intelligente sulla terra. È nato in North Carolina, vive qui da molto tempo, siamo sposati da 43 anni. Abbiamo quattro figli e cinque nipoti a cui manca terribilmente». Che cosa è successo il 7 ottobre? «Erano le 6.30 del mattino, stavamo dormendo. Un allarme ci ha svegliati di soprassalto. Non abbiamo pensato a nulla di grave, tanto che siamo rimasti in pigiama. Poi abbiamo visto da Gaza partire molti missili: sembrava la fine del mondo. Ma Internet non funzionava». Come avete capito che i miliziani avevano invaso il vostro kibbutz? «A un certo punto, siamo riusciti a vedere una chat del vicinato e una ragazza ci ha informati che erano entrati dei terroristi e che stavano uccidendo delle persone. Poi hanno ucciso anche lei». Quando sono arrivati da voi? «Dopo quattro ore. Hanno sfondato la porta di casa e hanno iniziato a maltrattarci. Hanno sparato alla mano di Keith e gli hanno rotto le costole. Ci hanno portato a Gaza con la nostra macchina. In quel momento è come se avessi perso il corpo: non ero più dentro di me. In tre minuti siamo arrivati nella Striscia. Solo Dio sa quanto siamo vicini». Che cosa è successo, poi? «Appena entrati c’erano decine di persone che applaudivano, che sparavano in aria in segno di gioia. Noi morivamo di paura, in pigiama. I terroristi ci spingevano, gridavano in arabo, che Keith ha studiato. Ci hanno portati in una casa: a pochi metri dall’ingresso c’era un tunnel. Loro ridevano, noi scendevamo». (Leggi l'intervista completa sul sito InPiù)
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