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La Russa: da Tatarella lezione per far superare il fascismo alla destra
Francesco Verderami, Corriere della Sera, 23 luglio
Redazione InPiù 27/07/2024
La Russa: da Tatarella lezione per far superare il fascismo alla destra
Da Tatarellla una lezione per far superare il fascismo alla destra. Così il presidente del Senato, Ignazio La Russa, intervistato da Francesco Verderami per il Corriere della Sera del 23 luglio. Uno è stato suo mentore e suo amico, l’altro un avversario che ha finito per apprezzare. Ma nemmeno a Ignazio La Russa è chiaro il motivo per cui abbia deciso di accostare due figure così diverse come Pinuccio Tatarella e Giorgio Napolitano: «Forse perché, nella loro differenza, avevano il culto della politica e un’indubbia capacità di dispiegarla». Sarà per questo che il racconto del presidente del Senato si concentra sul «ministro dell’Armonia» — come veniva definito il Richelieu della destra — e sullo storico dirigente della sinistra, primo capo dello Stato post comunista della storia repubblicana. «A Tatarella ero legatissimo. Facevamo anche le vacanze insieme». E proprio durante una vacanza accadde un episodio che La Russa serba come una lezione: «Era il 1990, stavamo andando a San Gallo, in Svizzera, dove avevo studiato per 5 anni in collegio. E nel tragitto da Milano, proposi una piccola deviazione. Quel giorno l’associazione che si occupa delle onoranze ai caduti della Repubblica sociale — riconosciuta dal Comune di Milano — avrebbe deposto come tutti gli anni un mazzo di fiori nel luogo in cui era stato ucciso Benito Mussolini. Allora dissi a Pinuccio: “È solo a tre chilometri, vogliamo andarci?”. Non l’avessi mai detto». Cosa accadde? «Tatarella si infuriò, perché a suo giudizio nella nostra comune volontà di costruire una destra pluralista, moderna ed europea, non c’era più spazio non solo per il fascismo ma anche per gesti che richiamassero il passato. “Ma portano solo dei fiori”, insistetti. E lui: “Non si capirebbe. Levatelo dalla testa”. Tatarella era stato l’ideologo, se così si può dire, della parte più avanzata del Movimento sociale italiano: mi riferisco ai giovani che volevano costruire una destra non più legata ai richiami del fascismo ma radicata nel presente e protesa verso il superamento del nostalgismo. Era il movimento giovanile che propugnava la necessità di un partito inserito nel confronto politico». Sarà, ma quei giovani continuavano a fare il saluto romano. «Infatti Tatarella aveva capito che, oltre la sostanza, bisognava cambiare anche le forme. Il primo a intuirlo in realtà era stato Giorgio Almirante, che negli anni Settanta aveva allargato l’Msi a personalità antifasciste. Ma non era bastato. Più tardi, sul finire degli anni Ottanta, Pinuccio contribuì a lanciare Gianfranco Fini alla guida del partito. E io ero schierato con lui. Non è stato un percorso facile e indolore. Ecco perché sono stati sbagliati e dannosi i gesti di cui si sono resi responsabili quei ragazzi di Gioventù nazionale che hanno purtroppo offuscato la cristallina passione politica della maggioranza dei giovani militanti. Per tanto tempo è stata strumentalmente creata una barriera che ha tenuto distanti molti elettori di destra, i quali non tollerano di sentirsi dare del fascista». E magari non possiedono nemmeno un busto del Duce. «Terrò una conferenza stampa appena arriveremo alle duecentomila citazioni del busto che avrei a casa. Ci siamo vicini. E per la cronaca quel busto l’ho esiliato da mia sorella ed è una opera d’arte ereditata da mio padre e mai esibita pubblicamente». Oltre la forma, nella sostanza quando ha smesso di sentirsi fascista? «Devo partire dalla storia della mia famiglia, dove mio padre era stato fascista e rimaneva legato al fascismo, anche se non ne immaginava minimamente una riproposizione. Mio fratello ha militato in un partito antifascista come la Democrazia cristiana, e io sono cresciuto avendo a cuore la libertà in tutte le sue declinazioni. È un valore che non ho mai dovuto elaborare perché non ho mai pensato diversamente. Ricordo le campagne elettorali di mio padre e il gusto della libertà che assaporavo. Poi arrivò il ’68, la violenza dei cosiddetti nuovi partigiani, il loro slogan secondo cui “uccidere un fascista non è un reato”. Con loro non vorrò mai essere accomunato. È allora che iniziò l’antifascismo ideologico come viene inteso adesso». (Leggi l'intervista completa sul sito InPiù)
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