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Piero Pelù: «Io sul palco in Vietnam con il sosia di Ho Chi Minh (poi mi rubarono tutto)»

Aldo Cazzullo, Corriere della Sera, 1° luglio 2023

Redazione InPiù 01/07/2023

Piero Pelù: «Io sul palco in Vietnam con il sosia di Ho Chi Minh (poi mi rubarono tutto)» Piero Pelù: «Io sul palco in Vietnam con il sosia di Ho Chi Minh (poi mi rubarono tutto)» Sul Corriere della Sera di sabato 1° luglio Aldo Cazzullo intervista il cantante Piero Pelù. Piero Pelù, lei ha fama di viaggiatore. «Da ragazzo giravo zaino in spalla. Più da migrante che da turista. Grecia, Messico, Brasile, Marocco. E poi la prima tournée in Australia, con i Litfiba. Ma negli anni 70 a Firenze il mito era l’Estremo Oriente». Come mai? «Il mio primo manager, Bruno Casini, mi parlava del leggendario Magic Bus che da Amsterdam arrivava in India. Lui era sceso in Afghanistan, che in quegli anni era anche l’approdo di Alighiero Boetti, il grande artista di cui il mio amico Bobo Marescalchi era il braccio destro». Perché volevate andare in Afghanistan? «Il nostro vero mito era il triangolo d’oro: Thailandia, Laos, Cambogia. Il cuore del mercato dell’oppio: già flagello della popolazione locale, fonte di immense ricchezze per l’impero britannico. Firenze negli Anni 70 era un tappeto di fricchettoni. Era Woodstock 24 ore su 24, 365 giorni su 365. E prima capitale gay friendly. Adesso fatichi a farti largo tra turisti americani che si muovono come cowboy con il lazo e tutto. Ma all’epoca Firenze era la città più aperta d’Italia». E lei partì per il triangolo d’oro? «Mai. Però l’Estremo Oriente per me era anche il Vietnam, simbolo del pacifismo fin da quando erano filtrate le prime foto sugli orrori della guerra americana, quando ero bimbo. Il pacifismo che mi aveva insegnato nonno Mario, ragazzo del ‘99, sbattuto in trincea a diciotto anni. E al Vietnam è legato uno dei ricordi più memorabili della mia vita. Erano i primi di maggio del 2007». Che viaggio fu? «Un flash. Ero direttore dell’Estate fiorentina, dovevo rientrare per la presentazione del programma a Palazzo Vecchio. L’avevo chiamata con l’acronimo Fi.esta “tra dialogo e diavolo”; vinse il diavolo e nel settembre 2007 mi dimisi. Ma allora per il viaggio avevo appena nove giorni, divenuti otto perché a Parigi perdemmo il volo per Hanoi. Overbooking». Overbooking? «Aspettammo tre ore e mezza in piedi nella carlinga dell’aereo, con i bambini che piangevano e i passeggeri che avevano preso il sonnifero che crollavano addormentati. Alla fine fu chiaro che i posti per tutti non si sarebbero trovati, e maledicendo Air France noi musicisti scendemmo per partire poi il giorno dopo». Con chi viaggiava? «La band si chiamava P-Trio, dove P stava per Power ma pure per Piero. Paul Baglioni (non parente) alla batteria, Fefo Forconi tatuato dalla testa ai piedi alla chitarra, Barny Bagni al basso. E sosia». Sosia? «Poi le spiego. Eravamo invitati da un ambasciatore molto simpatico, Alfredo Matacotta, che aveva avuto l’idea di un festival della cultura contemporanea italiana. Il Mart di Rovereto aveva mandato capolavori del Novecento: Schifano, Guttuso, Burri. Poi c’eravamo indegnamente noi». Come fu l’arrivo? «Ci portarono subito alla conferenza stampa. Ci costringevano a fare una conferenza stampa ogni mattina. E lì si appalesò subito Svetlana».
 
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