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Flavia Amabile, La Stampa, 20 luglio
Redazione InPiù 22/07/2022

Come agire, quindi?
«Questa crisi ci impone la necessità di ripensare l’approccio del mondo con il sistema di produzione alimentare. Come Slow Food stiamo rafforzando il legame con le comunità locali. Bisogna rendere possibile la resilienza dei produttori e favorire la sovranità alimentare per migliorare il benessere della popolazione locale, difendere la diversità alimentare e quindi frenare la crisi climatica».
Sostenere i piccoli produttori locali per combattere la crisi climatica: ma come?
«Lavorando con chi ha un approccio rigenerativo nei confronti dell’agricoltura. Nel mondo ci sono più di 2mila comunità Slow Food che lavorano con un approccio agroecologico che consente di rigenerare il paesaggio e il sistema alimentare nel suo complesso, per evitare che gli ecosistemi siamo distrutti e proteggere le diversità. La rete dei giovani di Slow Food si occupa di diversi progetti contro lo spreco alimentare, anche questo è un modo per combattere il surriscaldamento globale. Il cibo sprecato viene ottenuto usando acqua, fitofarmaci, prodotti chimici, combustibili fossili per trattori e macchine. Ridurre lo spreco alimentare attraverso le campagne che stiamo portando avanti vuol dire quindi ridurre l'energia utilizzata e quindi salvare foreste e boschi».
Quali sono le aree dove secondo lei è più alto il rischio di danni alla produzione alimentare per effetto della crisi climatica?
«Il riscaldamento globale colpisce tutto il mondo anche se in modo differente.
Nell’area tropicale gli effetti arrivano in modo più rapido e violento, ma questo non vuol dire che non sia un problema che riguarda tutti: per questo è importante che tutti diventino consapevoli e facciano qualcosa».
Quali sono gli effetti nell’area tropicale?
« Dove le comunità dipendono dell'allevamento di animali la prolungata siccità provoca la distruzione dei pascoli e incendi. Questa situazione crea conflitti fra le varie comunità pastorali. Gli effetti sono evidenti soprattutto dove l'ambiente è stato esposto a un tipo di coltivazione intensiva, che ha reso più fragile il terreno e l'ambiente e più alto il più rischio di crisi per carestie».
Che cosa si aspetta dai governi e dalle istituzioni internazionali?
«Slow Food chiede ai governi di aprire un dialogo serio per cambiare il sistema in modo da aumentare la produzione di cibo agriecologico.Chiediamo poi politiche che limitino o non favoriscano la produzione di cibo industriale e sostengano la produzione di cibo locale sostenibile. Se si applicano dei sistemi di produzione agriecologica, che rispettano le risorse della produzione locale,abbiamo maggiore possibilità di avere ambienti resilienti al cambiamento climatico. I governi, quindi, devono mettere in atto programmi chiari in questo senso e sia i governi sia le istituzioni dovrebbero destinare più fondi per sostenere le produzioni locali e aiutare le comunità che producono cibo in modo da assicurare la sovranità alimentare dei luoghi in cui operano. Dovrebbero anche mettere in atto politiche che riducano l'inquinamento, invece di continuare a sovvenzionare politiche nella direzione opposta. E dovrebbero favorire politiche che non favoriscano la sottrazione delle terre alle comunitàlocali».
Leggi l'intervista completa sul sito InPiù
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