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Meloni e il Parlamento di Parigi

Il conflitto permanente tra governo e giudici

Luciano Panzani 03/02/2025

Meloni e il Parlamento di Parigi Meloni e il Parlamento di Parigi Nel 1648, dopo la morte di Luigi XIII, il Parlamento di Parigi che era l’alta Corte di Giustizia, si oppose ad Anna d’Austria, reggente del regno in nome di Luigi XIV ancora bambino, e al suo ministro Mazzarino. Ne seguì la Fronda parlamentare o Fronda delle Toghe, e successivamente la Fronda dei principi, vera guerra civile. Ai giudici del Parlamento, che erano quasi tutti nobili aderenti alla Fronda, e quindi diremmo oggi in conflitto d’interessi, non andò bene. Si trovarono schiacciati tra una rivolta popolare che andava oltre i loro interessi e le truppe reali e dovettero far atto di sottomissione. Diversi anni dopo Luigi XIV vietò ai magistrati di prendere conoscenza degli affari di Stato e gettò le basi per la separazione dei poteri. Oggi lo scontro frontale tra Governo e giudici si arricchisce ogni giorno di nuovi episodi. Alla protesta dell’ANM contro la separazione delle carriere (contro la quale è stato proclamato lo sciopero del 27 febbraio), si aggiunge il caso Almasri e la recente decisione della Corte di appello di Roma che non ha convalidato la detenzione dei migranti in Albania. La grande maggioranza dei magistrati condivide le posizioni dell’ANM. Meloni e i partiti di maggioranza condividono la posizione del Governo che si riassume in quanto dichiarato dalla Presidente del Consiglio: se i magistrati vogliono governare, si presentino alle elezioni.
 
Di fronte alla violenza dello scontro, sul quale il Presidente Mattarella ha sinora evitato di pronunciarsi, si può sottolineare che si contrappongono due visioni. Quella del Governo che intende ridimensionare il peso dei giudici azzerando le correnti e ridimensionando i PM e arginare il flusso dei migranti, in un momento in cui la posizione dell’Italia e dell’Europa in generale richiede scelte nette. Quella dei magistrati, appoggiati almeno sino ad un certo punto dalle opposizioni, che invocano il ruolo di tutela dei diritti e la difesa dello stato di diritto contro i presunti arbitri dell’esecutivo. Da questo punto di vista il caso Almasri è particolarmente indicativo. Qualunque Governo avrebbe evitato di intrappolarsi con l’arresto del generale libico in un quadro di ritorsioni che ci avrebbero esposto ad un incremento massiccio dei migranti. Un tema cui anche un governo di centro sinistra Gentiloni, con Minniti ministro dell’Interno, si mostrò sensibile. Ciò mentre l’autorità ed il prestigio della Corte penale internazionale (Cpi) sono minati dall’impossibilità pratica di procedere contro Putin, Netanyahu, ed altri personaggi eccellenti e dall’aperta ostilità delle grandi Potenze, Usa in testa. Al contempo, la mancata esecuzione del mandato di arresto della Cpi può integrare gli estremi di reato, in base ad una legge improvvida che richiede per l’esecuzione del provvedimento la richiesta del Ministro di Giustizia. Meloni ha scelto di alzare i toni ed inasprire il conflitto. E’ una strada forse obbligata per evitare che l’azione di governo rimanga impantanata in una resistenza sorda, che ha dalla sua la difesa di valori fondamentali.  Di qui la domanda se vi sono possibilità di mediazione e di iniziative che, comunque, abbassino i toni e raffreddino le tensioni. Non siamo ottimisti, ma ogni sforzo in questa direzione va coltivato.
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