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Il “Salva Milano” rallenta al Senato

… fra dubbi e ripicche pre-elettorali

Giuseppe Roma 30/01/2025

Il “Salva Milano” rallenta al Senato Il “Salva Milano” rallenta al Senato Passato alla Camera, nel novembre scorso, con una maggioranza trasversale di 172 favorevoli su 213 votanti, il disegno di legge detto “Salva Milano” sembra destinato a rallentare il suo iter al Senato. Emergono dubbi sugli effetti che la normativa potrà sortire anche in altre città, mentre il presidente del Senato, il milanese La Russa, con un occhio alle comunali e 2026, ha ammonito che con questa sanatoria a salvarsi sarebbe il sindaco di Milano Sala. Negli ultimi due decenni, Milano si è fortemente rinnovata, mantenendo il passo con le grandi città europee, più di ogni altra area metropolitana italiana. Sono state realizzate nuove strutture urbane, grattacieli e soprattutto si è promossa la rigenerazione di quartieri e zone esistenti, spesso degradate. Tante trasformazioni in così poco tempo sono state rese possibili da una forte deregolamentazione che, riducendo tempi e procedure, è stata in grado di attrarre rilevanti investimenti immobiliari. Quella di sostituire i progetti edilizi ai piani urbanistici è una scelta comune a tante realtà metropolitane, specie in Europa, dove alla grande espansione edilizia del dopoguerra è seguito il declino industriale di fine secolo. Il Piano regolatore, necessario a indirizzare l’ampliamento della città, è diventato, così, uno strumento inadeguato e ridondante per controllare interventi in aree già costruite. Un tale cambiamento non ha dato luogo a normative urbanistiche nazionali chiare, tanto che, dopo anni, la prassi autorizzativa del Comune di Milano è caduta sotto la tagliola della Procura.
 
A Milano, nel caso di abbattimento e ricostruzione delle stesse volumetrie, il promotore aveva solo l’obbligo di presentare una Scia (Segnalazione certificata di inizio attività) anche se il nuovo edificio “non conservava tracce” di quello demolito. Uno dei casi concreti riguarda la realizzazione di un fabbricato residenziale di 24 piani e 82 metri di altezza, al posto di due edifici di 2 e 3 piani. Per il Comune, sostituire un capannone industriale con un edifico multipiano è una ristrutturazione, per la Procura una nuova costruzione che necessita di un apposito titolo edilizio. Da un lato si sostiene che l’importante è il consumo di suolo e che, insistendo sullo stesso lotto, non si realizza nulla di nuovo, qualunque forma e funzione abbia la ricostruzione. Dall’altra parte, si afferma che ogni modificazione delle destinazioni d’uso e dei pesi territoriali va armonizzata con il contesto urbano e la disponibilità di servizi. Trovare una mediazione fra le due impostazioni potrebbe essere la soluzione più saggia per pervenire all’interpretazione autentica di cosa si debba intendere per ristrutturazione, oggetto del disegno di legge in esame al Senato (S.1309).
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