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Governo e Giustizia, lo scontro infinito
Polemiche sui Paesi sicuri, la separazione delle carriere e l'”atto di indirizzo” sui reati da perseguire
Luciano Panzani 05/11/2024
Governo e Giustizia, lo scontro infinito
Le cronache sono ricche di scontri al calor bianco tra esponenti di maggioranza ed esponenti della magistratura: l’ordinanza del Tribunale di Bologna che ha investito la Corte di Giustizia sul decreto legge con cui Bangladesh ed Egitto sono stati definiti Paesi sicuri; l’ordinanza del giudice di Catania sul divieto di trattenimento di un profugo egiziano; le dichiarazioni del Ministro Nordio su una stretta dei tempi sulla separazione delle carriere e sulla previsione di un “atto di indirizzo” che regoli la discrezionalità dei PM nell’individuazione dei reati cui dare la precedenza. E poi le critiche dei magistrati della Corte dei Conti sulla proposta riforma della Corte stessa, che ne riduce le competenze soprattutto. L’elenco potrebbe continuare. Il presidente dell’ANM ripete che i magistrati non fanno altro che il loro mestiere e che voler qualificare come “toga rossa” chiunque adotti provvedimenti non graditi al Governo è sbagliato. Da ultimo anche gli avvocati delle Camere penali hanno solidarizzato con i magistrati. Le polemiche non aiutano. Tuttavia, se si guarda alla sostanza, fortunatamente lo scontro si riduce ad iniziative che rientrano nei limiti istituzionali.
E’ del tutto legittimo che, investito dell’applicazione di una norma nuova e controversa come quella sui Paesi sicuri, il Tribunale di Bologna ponga un quesito interpretativo alla Corte di Giustizia, come prevedono le norme europee. Nella motivazione un’argomentazione che trae argomento dalla Germania nazista come Paese non sicuro, poteva forse essere evitata. La separazione delle carriere è una scelta politica, criticabile certamente, ma legittima, sulla quale, richiedendo una modifica costituzionale, ci sarà ampiamente modo di esprimersi, anche con il referendum. Anche la fissazione di parametri più precisi per la definizione dei criteri di priorità nella scelta dei processi che i P.M. debbono mandare avanti per primi (in un sistema dove i processi che restano indietro si prescrivono) è bene che spetti alla legge, e quindi al Parlamento, e non ai magistrati, che sarebbero altrimenti investiti di un potere discrezionale che non ha nulla a che fare con i loro compiti. Del resto, in parte i criteri di priorità erano già contenuti nel codice di procedura penale e la riforma Cartabia, varata dalla maggioranza di centro-sinistra era andata in questa direzione. L’obbligatorietà dell’azione penale, scritta in Costituzione, presuppone che il PM non abbia poteri discrezionali. Se li ha, come di fatto è, bisogna prenderne atto ed è bene che lo faccia il Parlamento, anche se i PM, comprensibilmente, non sono soddisfatti. Come lo farà, è altra questione.
La riforma della Corte dei Conti, infine, è una riforma legittima, ma sbagliata, perché toglie garanzie ai cittadini, impedisce di perseguire illeciti e riduce i controlli sugli enti locali, che ne hanno un gran bisogno. Lo ha detto recentemente, con parole felpate, non un pericoloso barricadiero, ma il presidente della Corte stessa, Carlino. Mentre siamo assordati dalle polemiche, molti uffici giudiziari continuano ad avere tassi di scopertura del personale molto elevati, anche oltre il 30%. La manovra di bilancio prevede nuovamente il blocco del turn-over. Di questo e della situazione drammatica delle carceri, dove i suicidi purtroppo continuano, vorremmo che tutti si occupassero.
E’ del tutto legittimo che, investito dell’applicazione di una norma nuova e controversa come quella sui Paesi sicuri, il Tribunale di Bologna ponga un quesito interpretativo alla Corte di Giustizia, come prevedono le norme europee. Nella motivazione un’argomentazione che trae argomento dalla Germania nazista come Paese non sicuro, poteva forse essere evitata. La separazione delle carriere è una scelta politica, criticabile certamente, ma legittima, sulla quale, richiedendo una modifica costituzionale, ci sarà ampiamente modo di esprimersi, anche con il referendum. Anche la fissazione di parametri più precisi per la definizione dei criteri di priorità nella scelta dei processi che i P.M. debbono mandare avanti per primi (in un sistema dove i processi che restano indietro si prescrivono) è bene che spetti alla legge, e quindi al Parlamento, e non ai magistrati, che sarebbero altrimenti investiti di un potere discrezionale che non ha nulla a che fare con i loro compiti. Del resto, in parte i criteri di priorità erano già contenuti nel codice di procedura penale e la riforma Cartabia, varata dalla maggioranza di centro-sinistra era andata in questa direzione. L’obbligatorietà dell’azione penale, scritta in Costituzione, presuppone che il PM non abbia poteri discrezionali. Se li ha, come di fatto è, bisogna prenderne atto ed è bene che lo faccia il Parlamento, anche se i PM, comprensibilmente, non sono soddisfatti. Come lo farà, è altra questione.
La riforma della Corte dei Conti, infine, è una riforma legittima, ma sbagliata, perché toglie garanzie ai cittadini, impedisce di perseguire illeciti e riduce i controlli sugli enti locali, che ne hanno un gran bisogno. Lo ha detto recentemente, con parole felpate, non un pericoloso barricadiero, ma il presidente della Corte stessa, Carlino. Mentre siamo assordati dalle polemiche, molti uffici giudiziari continuano ad avere tassi di scopertura del personale molto elevati, anche oltre il 30%. La manovra di bilancio prevede nuovamente il blocco del turn-over. Di questo e della situazione drammatica delle carceri, dove i suicidi purtroppo continuano, vorremmo che tutti si occupassero.
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