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Quale indipendenza per i Pm
La conferenza dei Procuratori Generali d'Europa a Palermo
Luciano Panzani 10/05/2022

Le vicende della giustizia in Italia hanno portato alla ribalta il diverso tema del possibile rischio di abuso del ruolo da parte di alcuni pubblici ministeri, complice la risonanza mediatica delle loro iniziative ed i tempi lunghi di celebrazione dei processi. Da questa preoccupazione sono derivate alcune delle attuali iniziative legislative e referendarie in tema di separazione delle carriere di giudici e Pm che la riforma Cartabia intende evitare, sia pur limitando sensibilmente la possibilità di passare da un ruolo all'altro, e che invece i promotori dei referendum, la cui celebrazione è ormai vicina (12 giugno), propongono come un divieto assoluto. Sotto accusa è anche il principio, sancito dalla Costituzione, dell'obbligatorietà dell'azione penale. Tale principio, voluto dai padri costituenti come garanzia della terzietà ed imparzialità del Pm, è oggi visto, anche da autorevoli studiosi, come la foglia di fico sotto la quale si nasconde una discrezionalità che, si afferma, richiederebbe qualche controllo. L'indipendenza, tuttavia, come ci insegna la Conferenza di Palermo, è un valore. Ridisegnare il ruolo del Pm, che oggi molti vedono nell'autogoverno della magistratura come il socio di maggioranza, è un evidente problema di pesi e contrappesi, tipico di ogni democrazia, per la cui soluzione è indispensabile riportare i tempi del processo in limiti fisiologici, di mesi e non di anni.
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