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La sfida dell'esercito europeo
Dopo l'elezione di Donald Trump
Riccardo Illy 22/11/2024
La sfida dell'esercito europeo
La Ue sta cominciando a preoccuparsi, forse non a sufficienza, di quello che accadrà a gennaio dopo l’insediamento del nuovo Presidente degli USA Donal Trump. Se da un alto la minaccia di introdurre dazi anche sui beni importati dall’Europa potrebbe essere, come sostengono molti economisti, solo un argomento negoziale per ottenere qualche beneficio a favore dell’America, la realizzazione del nuovo corso nel settore della politica internazionale e della difesa è un fatto pressoché certo. Trump, oltre a minare il multilateralismo sostituendolo con rapporti bilaterali, imporrà il rispetto degli accordi in ambito NATO in termini di percentuale del PIL da destinare alla spesa militare. Non è ancora chiaro quale sarà la sua posizione nei confronti dell’Ucraina, ma le prime mosse maldestre con Putin, con la seconda presunta telefonata smentita dal portavoce russo, non lasciano sperare in nulla di buono. È verosimile che la difesa del paese occupato, anche per limitare ulteriori mire espansionistiche del dittatore russo, ricadranno principalmente sulle spalle della UE.
Sia per contribuire più significativamente alle forze NATO sia per prepararsi all’autodifesa nel caso gli USA decidano di sfilarsi dal sostegno militare all’Europa, sta diventando una necessità la trasformazione dei 27 piccoli eserciti nazionali in un significativo esercito europeo. Per farlo è necessario uniformarlo sul piano della lingua utilizzata, della catena di comando, delle procedure e degli armamenti. Quest’ultimo sembra lo scoglio più impegnativo; applicando i principi del vantaggio comparato, si potrebbe superare l’attuale frammentazione produttiva con la decisione di affidare la produzione delle varie tipologie di armi al paese che ne produce i modelli migliori, alcuni su licenza USA per una più efficace integrazione a livello NATO. Ciò richiederebbe un grande sforzo politico e negoziale ma il risultato sarebbe, a parità di spesa, di avere un esercito unico molto più efficace; certamente uno dei primi cinque al mondo. Che darebbe un senso anche alla politica estera europea, che oggi è come una testa senza braccia. E consentirebbe alla UE di provvedere, in caso di necessità, autonomamente alla propria difesa. Non è detto che Trump si accontenti di questi passi avanti ma quantomeno consentirebbero ai membri UE di prendere del tempo prima di rispettare l’impegno NATO del 2% del PIL da destinare alla difesa. La debolezza politica di Francia e Germania, le difficoltà a ratificare da parte del Parlamento europeo la Commissione von der Leyen 2 e la tendenza alla polarizzazione politica non sono fattori di aiuto per realizzare il progetto dell’esercito europeo; talvolta però da situazioni di difficoltà nascono le spinte per avviare grandi cambiamenti.
Sia per contribuire più significativamente alle forze NATO sia per prepararsi all’autodifesa nel caso gli USA decidano di sfilarsi dal sostegno militare all’Europa, sta diventando una necessità la trasformazione dei 27 piccoli eserciti nazionali in un significativo esercito europeo. Per farlo è necessario uniformarlo sul piano della lingua utilizzata, della catena di comando, delle procedure e degli armamenti. Quest’ultimo sembra lo scoglio più impegnativo; applicando i principi del vantaggio comparato, si potrebbe superare l’attuale frammentazione produttiva con la decisione di affidare la produzione delle varie tipologie di armi al paese che ne produce i modelli migliori, alcuni su licenza USA per una più efficace integrazione a livello NATO. Ciò richiederebbe un grande sforzo politico e negoziale ma il risultato sarebbe, a parità di spesa, di avere un esercito unico molto più efficace; certamente uno dei primi cinque al mondo. Che darebbe un senso anche alla politica estera europea, che oggi è come una testa senza braccia. E consentirebbe alla UE di provvedere, in caso di necessità, autonomamente alla propria difesa. Non è detto che Trump si accontenti di questi passi avanti ma quantomeno consentirebbero ai membri UE di prendere del tempo prima di rispettare l’impegno NATO del 2% del PIL da destinare alla difesa. La debolezza politica di Francia e Germania, le difficoltà a ratificare da parte del Parlamento europeo la Commissione von der Leyen 2 e la tendenza alla polarizzazione politica non sono fattori di aiuto per realizzare il progetto dell’esercito europeo; talvolta però da situazioni di difficoltà nascono le spinte per avviare grandi cambiamenti.
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