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Buio Fitto evitato a Bruxelles
Approvati i vicepresidenti italiano e spagnolo, Commissione al via il primo dicembre
Riccardo Perissich 21/11/2024
Buio Fitto evitato a Bruxelles
La vicenda si è dunque conclusa come ogni persona sensata aveva auspicato e in fondo previsto. Gli incarichi proposti da Ursula von der Leyen (UVDL) per i membri della Commissione hanno ricevuto il consenso del Parlamento Europeo (PE). Eppure, aiutati da alcuni media, i parlamentari ci hanno tenuto con il fiato sospeso per un paio di mesi. Gli ostacoli sono stati principalmente tre. Il primo, il meno importante, riguardava il Commissario ungherese Vàrhelyi. Era un bersaglio attraente, ma anche inutile; piaccia o no, Orban ha diritto a un posto in Commissione e Vàrhelyi non è peggio di un altro. In più, Orban avrebbe potuto reagire ritardando la sostituzione e quindi l’entrata in funzione dell’intero Collegio. Poi c’era il boccone più grosso: Raffaele Fitto, designato da Giorgia Meloni e proposto da UVDL come uno dei sei vicepresidenti. Da notare che nessuno aveva messo in dubbio le qualifiche di Fitto, un ex democristiano il cui europeismo e competenza erano difficilmente contestabili. Dove era il problema? I socialisti e i verdi, con l’ambiguo sostegno dei liberali sostenevano che Fitto, nominato da Meloni che è anche Presidente di ECR uno dei gruppi di destra radicale al PE, non doveva accedere al titolo di vicepresidente. Titolo che doveva invece essere riservato a persone espressione di partiti appartenenti alla cosiddetta “maggioranza Ursula”: la maggioranza per definizione “europeista” che da sempre domina il PE. Il problema è che alle ultime elezioni l’equilibrio di questa istituzione si è spostato a destra; non solo per la crescita di alcuni gruppi di estrema destra, ma soprattutto per l’affermazione in seno alla “maggioranza Ursula” del PPE a scapito delle altre formazioni di centro-sinistra. L’iniziativa dei socialisti ha permesso al PPE, prontamente schierato a difesa di Fitto, di affermarsi come arbitro e ago della bilancia e si è quindi rivelata un segno di debolezza; il tutto accompagnato dall’inevitabile angoscia esistenziale dei parlamentari italiani eletti con il PD. Il PPE ha poi reagito “prendendo in ostaggio” la vicepresidente spagnola Ribera. La mossa, che sembrava puramente tattica, è stata però complicata dalle inondazioni in Spagna che hanno trasformato la questione Ribera, che a Madrid è Ministra dell’ambiente, in una questione interna spagnola.
Come dettavano la logica e il buon senso, il gioco dei veti incrociati si è rivelato impraticabile soprattutto perché avrebbe bloccato le istituzioni in un momento particolarmente delicato per la politica europea. Se ne possono trarre tre lezioni. Non solo il PPE, ma anche UVDL esce rafforzata da questa pantomima, che peraltro si sarebbe volentieri risparmiata. Inoltre, anche con la complicità dei media, si è tentato di raccontare l’UE come se fosse una democrazia parlamentare con una maggioranza che esprime un governo e un’opposizione. Così si fa però un pessimo servizio all’opinione pubblica che già stenta a capire come funziona l’UE. Una maggioranza è effettivamente necessaria per insediare la Commissione; la quale però trae la sua legittimità anche e soprattutto dai governi, i quali esprimono maggioranze diverse e agiscono con logiche che spesso non riflettono il colore politico. Anche nel PE, passato il momento dell’insediamento, il gioco parlamentare si fa più fluido e le maggioranze sono facilmente variabili. Come del resto in seno al Consiglio. Insomma, si è fatto finta di avere un’UE diversa da quella che è. Nell’Europa “reale” non aveva senso rifiutare la carica di vicepresidente alla persona designata dal governo del terzo paese dell’UE; governo il quale tra l’altro si muove in modo tutto sommato compatibile con i principali orientamenti della maggioranza degli altri paesi. Del resto, i partiti che compongono il PE sono ancora deboli e spesso condizionati dalle componenti nazionali, come dimostrato dai casi Fitto e Ribera. Infine, le elezioni si sono svolte l’8 giugno e ci sono voluti cinque mesi per formare una nuova Commissione. Sono troppi per consolidare istituzioni che devono funzionare bene in un momento molto delicato. Negli USA, l’insediamento del nuovo Presidente avverrà solo il 20 gennaio. Sono regole stabilite nel 1788, quando per recarsi a cavallo nella Capitale ci volevano per alcuni diverse settimane. Ma sono due mesi e mezzo, non cinque; il PE non esce molto bene dal confronto.
Come dettavano la logica e il buon senso, il gioco dei veti incrociati si è rivelato impraticabile soprattutto perché avrebbe bloccato le istituzioni in un momento particolarmente delicato per la politica europea. Se ne possono trarre tre lezioni. Non solo il PPE, ma anche UVDL esce rafforzata da questa pantomima, che peraltro si sarebbe volentieri risparmiata. Inoltre, anche con la complicità dei media, si è tentato di raccontare l’UE come se fosse una democrazia parlamentare con una maggioranza che esprime un governo e un’opposizione. Così si fa però un pessimo servizio all’opinione pubblica che già stenta a capire come funziona l’UE. Una maggioranza è effettivamente necessaria per insediare la Commissione; la quale però trae la sua legittimità anche e soprattutto dai governi, i quali esprimono maggioranze diverse e agiscono con logiche che spesso non riflettono il colore politico. Anche nel PE, passato il momento dell’insediamento, il gioco parlamentare si fa più fluido e le maggioranze sono facilmente variabili. Come del resto in seno al Consiglio. Insomma, si è fatto finta di avere un’UE diversa da quella che è. Nell’Europa “reale” non aveva senso rifiutare la carica di vicepresidente alla persona designata dal governo del terzo paese dell’UE; governo il quale tra l’altro si muove in modo tutto sommato compatibile con i principali orientamenti della maggioranza degli altri paesi. Del resto, i partiti che compongono il PE sono ancora deboli e spesso condizionati dalle componenti nazionali, come dimostrato dai casi Fitto e Ribera. Infine, le elezioni si sono svolte l’8 giugno e ci sono voluti cinque mesi per formare una nuova Commissione. Sono troppi per consolidare istituzioni che devono funzionare bene in un momento molto delicato. Negli USA, l’insediamento del nuovo Presidente avverrà solo il 20 gennaio. Sono regole stabilite nel 1788, quando per recarsi a cavallo nella Capitale ci volevano per alcuni diverse settimane. Ma sono due mesi e mezzo, non cinque; il PE non esce molto bene dal confronto.
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