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Il rebus dei “paesi sicuri”

Il rimpallo tra governo, Ue e giudici italiani ed europei

Riccardo Illy 31/10/2024

Il rebus dei “paesi sicuri” Il rebus dei “paesi sicuri” Quale metodo per attribuire le competenze fra se stessa, gli stati membri e gli enti locali, la UE ha recuperato e rivalutato l’antico principio di sussidiarietà. Si tratta di un principio generale da utilizzare in tutti i casi non definiti o controversi ed è stato applicato per attribuire alla UE le proprie competenze, che si articolano in esclusive, concorrenti (vi ricorda qualcosa? Anche nella nostra Costituzione sono contemplate tra lo Stato e le Regioni) e di sostegno. Sulle materie concorrenti possono intervenire, con propria legislazione, sia la UE sia gli Stati membri; sempreché non lo abbia già fatto la UE, che detiene quindi una sorta di “diritto di prelazione”. La materia “migrazione e affari interni” ricade nel capitolo delle competenze concorrenti. Negli ultimi anni è stato approvato un crescendo di provvedimenti, fra i quali spicca la Direttiva 2013/32 che definisce i principi che le leggi nazionali (non esiste un elenco UE) devono rispettare per stilare l’elenco dei paesi sicuri dove poter rimandare i migranti irregolari. È ciò che il Governo Meloni ritiene di aver fatto, ma anche ciò che il Tribunale di Bologna contesta, invocando il giudizio della Corte di Giustizia europea.
 
Certo sarebbe molto più agevole che venisse stilata una lista europea dei paesi sicuri, con la quale si taglierebbe alla radice ogni discussione; l’ultimo ad averci provato fu Jean-Claude Juncker nel 2015. Forse oggi i tempi sono più maturi. Anche perché il progetto italiano di costituire un centro di identificazione e smistamento dei migranti in un paese terzo come l’Albania viene guardato con interesse da diversi partner europei. L’effetto deterrente dello stesso è infatti fuori discussione; oggi la maggior parte dei migranti irregolari fa domanda di asilo politico ben sapendo che non sarà mai accolta,  ma sperando di riuscire a passare le maglie dei controlli e di stabilirsi comunque in Europa. Nel caso del centro in Albania il giochino non funziona: solo chi verrà ammesso come rifugiato politico potrà entrare nella Ue. In conclusione, quello che appare un braccio di ferro fra UE e Italia in realtà non lo è; si tratta per ora della mera azione del potere giudiziario che ha richiamato l’applicazione di provvedimenti sovraordinati (in quanto europei); vedremo, speriamo presto, che cosa deciderà la Corte di Giustizia europea e, soprattutto, se verrà approvata a breve la lista di paesi sicuri della UE, che ci avrebbe risparmiato tanto chiacchiericcio.
 
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