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Con Ursula in Europa spunta la casa
…con un Commissario dedicato
Giuseppe Roma 25/07/2024
Con Ursula in Europa spunta la casa
Una delle novità meno prevedibili che caratterizzeranno la prossima Commissione Europea presieduta da Ursula von der Leyen è la nomina di un apposito Commissario/a per le politiche abitative. Chi ha seguito il dibattito nell’assemblea parlamentare per l’elezione di Ursula, ha certo notato come il tema fosse ampiamente presente nella favorevole dichiarazione di voto della leader dei Socialisti e Democratici Iratexe Garcia. La Garcia ha rivendicato un Commissario responsabile per la casa, una specifica Commissione del Parlamento dedicata a tali tematiche e soprattutto un investimento sul social housing di 50 miliardi annui. Con una motivazione fortemente politica si è riusciti a superare un blocco che ha sempre relegato a livello nazionale l’intervento sociale per le abitazioni. La presidenza italiana dell’UE, nell’’85, riuscì a organizzare a Milano un consiglio informale sulla casa di grande successo, anche perché fissato il 7 dicembre che prevedeva come finale la prima della Scala.
Le condizioni abitative dei ceti medio-bassi stanno peggiorando in Europa, dove il 17% dei cittadini vive in condizioni di sovraffollamento e disagio (20% nelle grandi città). Inoltre, per il 9% delle famiglie i costi della casa eccedono il 40% del reddito e il 50% dei giovani europei (fra 18 e 34 anni) resta nella casa d’origine anche per le difficoltà di accesso a un alloggio. Molto differenziate sono le politiche pubbliche nei diversi stati membri, con un’incidenza di abitazioni sociali o cooperative superiore a un quarto dell’intero stock solo in alcuni paesi come Austria, Paesi Bassi, Danimarca e Svezia, a fronte di poco più del 3% per Italia o Spagna. L’Italia non dovrebbe perdere l’occasione per ripensare il welfare abitativo. L’ultima politica organica risale al Piano decennale per la casa, alimentato dai contributi Gescal di lavoratori e imprese aboliti nel 1992. Dopo quella stagione di investimenti pubblici, sono seguiti trent’anni di incentivi al libero mercato della casa in proprietà, inframmezzati da interventi d’emergenza per fronteggiare occupazioni o crisi estreme. Sarebbe il caso di inaugurare una nuova stagione, basata sulla collaborazione fra comuni e investitori privati, di grande rinnovamento dello stock abitativo che comprenda anche una quota di edilizia sociale. Potremmo sempre dire che ce lo chiede l’Europa.
Le condizioni abitative dei ceti medio-bassi stanno peggiorando in Europa, dove il 17% dei cittadini vive in condizioni di sovraffollamento e disagio (20% nelle grandi città). Inoltre, per il 9% delle famiglie i costi della casa eccedono il 40% del reddito e il 50% dei giovani europei (fra 18 e 34 anni) resta nella casa d’origine anche per le difficoltà di accesso a un alloggio. Molto differenziate sono le politiche pubbliche nei diversi stati membri, con un’incidenza di abitazioni sociali o cooperative superiore a un quarto dell’intero stock solo in alcuni paesi come Austria, Paesi Bassi, Danimarca e Svezia, a fronte di poco più del 3% per Italia o Spagna. L’Italia non dovrebbe perdere l’occasione per ripensare il welfare abitativo. L’ultima politica organica risale al Piano decennale per la casa, alimentato dai contributi Gescal di lavoratori e imprese aboliti nel 1992. Dopo quella stagione di investimenti pubblici, sono seguiti trent’anni di incentivi al libero mercato della casa in proprietà, inframmezzati da interventi d’emergenza per fronteggiare occupazioni o crisi estreme. Sarebbe il caso di inaugurare una nuova stagione, basata sulla collaborazione fra comuni e investitori privati, di grande rinnovamento dello stock abitativo che comprenda anche una quota di edilizia sociale. Potremmo sempre dire che ce lo chiede l’Europa.
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