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La “doppia lealtà” dei commissari europei

Non sono una novità gli attacchi di Meloni, Salvini e Tajani a Gentiloni

Riccardo Perissich 08/09/2023

La “doppia lealtà” dei commissari europei  La “doppia lealtà” dei commissari europei  Ha cominciato Salvini con la consueta rozzezza. Ha proseguito con qualche chilo di vasellina, Tajani, del cui passaggio a Bruxelles nello stesso ruolo di Paolo Gentiloni pochi sembrano aver preso nota. La battuta più significativa è però quella di Giorgia Meloni, che dopo qualche acrobazia verbale ha sferrato il colpo: Gentiloni non solo non è abbastanza “italiano”, ma è soprattutto ostile a questo governo; come dimostrato dall’evidente parzialità mostrata a favore di Draghi. Per chi, in Italia bisogna sempre supporre quasi tutti, abbia la memoria corta, è utile ricordare che ciò è tutt’altro che una novità. Si rammentano gli attacchi con linguaggio “salviniano” di Jacques Chirac al Commissario francese dell’epoca, Claude Cheysson colpevole di non difendere a sufficienza gli interessi francesi. Come Gentiloni, Cheysson apparteneva al partito avverso, ma si ricordano anche gli epici scontri tra Margareth Thatcher e lord Cockfield che pure lei stessa aveva nominato e che era stato suo ministro. Helmuth Schmidt era ancora meno delicato perché considerava i Commissari tedeschi “meno interessanti di un dirigente delle ferrovie”. Per tornare in Italia, persino Mario Monti era stato accusato di lesa patria nientemeno che da Prodi e Ciampi per aver affermato che l’Italia rischiava di restare fuori dall’euro; affermazione peraltro all’epoca perfettamente giustificata. Del resto, come non ricordare anche le espressioni a dir poco sprezzanti di Renzi nei confronti di Federica Mogherini, che lui stesso aveva imposto per un ruolo poi giudicato “inutile”?
 
La verità è che lavorare a Bruxelles in una posizione di responsabilità, politica come membro della Commissione o amministrativa negli alti gradi dell’amministrazione è forse il mestiere più difficile del mondo. È inutile nasconderlo, ma comporta un costante esercizio di doppia lealtà fra i doveri europei e le radici nazionali. Se la persona dimentica i primi, sarà rapidamente emarginata, giudicata sostanzialmente inutile e non riuscirà a difendere nemmeno gli interessi del proprio paese. Se dimentica le seconde, non riuscirà a contribuire efficacemente a quella sintesi permanente fra obiettivi comuni e sensibilità nazionali che costituisce il pane quotidiano del lavoro delle istituzioni. Essere “italiano”, “francese” o qualsiasi altra cosa a Bruxelles non vuol dire dimenticare le radici, ma assumersi la responsabilità di definire gli interessi del proprio paese in una prospettiva di lungo termine, non condizionata dalle contingenze del momento. Non c’è niente da fare; la struttura dell’UE, giustamente definita da Jacques Delors Oggetto Politico Non Identificato (OPNI), continua a non essere pienamente compresa dai politici nazionali. Il centro di questa incomprensione è inevitabilmente la Commissione, spesso definita “tecnocrazia” con una malcelata condiscendenza che aumenta via via che cresce il suo ruolo politico. Disagio a cui nessuno si sottrae, ma che poi si scontra contro il fatto che della Commissione, come del cortisone, tutti alla fine hanno bisogno. Disagio che diventa ancora più difficile da gestire quando un governo, come attualmente quello italiano, vuole scaricare su Bruxelles i suoi problemi interni. Per tornare al caso attuale, l’Italia e l’Europa sono fortunate di avere a quel posto Paolo Gentiloni. Quando fu nominato, alcuni gli sconsigliarono di accettare un portafoglio che lo avrebbe inevitabilmente messo in difficoltà con le autorità italiane di qualsiasi colore. Decise di prendere la patata bollente. L’unica cosa che si può dire è che l’ha gestita con invidiabile calma e maestria, maneggiando le “due lealtà” come se non ponessero alcun problema. Chi fra un anno sarà nominato al suo posto, si presume dall’attuale governo, farà bene a prendere nota se non vuole passare cinque anni a cercare dove a Bruxelles fanno una buona carbonara in attesa di cadere nell’oblio.
 
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