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Come trasformare il costo (enorme) della ricostruzione dell'Ucraina…

… in opportunità di sviluppo per l'Unione europea

Francesco Grillo 14/03/2023

Come trasformare il costo (enorme) della ricostruzione dell'Ucraina…  Come trasformare il costo (enorme) della ricostruzione dell'Ucraina… È enorme il costo che l’Ucraina e la comunità internazionale dovranno, prima o poi, affrontare per riparare ciò che i russi hanno distrutto in un anno di operazioni speciali e di straordinaria follia. Il 26 aprile si terrà a Roma una Conferenza sulla ricostruzione. Tuttavia c’è la possibilità di trasformare l’enorme voragine economica che i bombardamenti hanno scavato. Se, neppure stavolta, la Ue fosse capace di concepire una strategia, ci troveremmo alle porte di casa una bomba demografica che rischierà di affossarci definitivamente. La questione della ricostruzione di un Paese che potrebbe diventare, tra non molto tempo, il più grande dell’Ue, pone tre problemi. Quantificare le cifre necessarie; capire chi paga; definire i meccanismi che garantiscano i risultati voluti. La Banca Mondiale stimava prudenzialmente - al primo giugno del 2022 - che il costo della ricostruzione ammontava (allora) a 349 miliardi di dollari. Il conto è, nel frattempo, cresciuto. E cambierà ancora se della ricostruzione cambieranno gli obiettivi.  In realtà, anche prima dell’invasione, l’Ucraina soffriva: nel 1991 (quando divenne indipendente) ospitava 52 milioni di persone; diventate 43 quando Putin ha ordinato ai carrarmati di varcare il confine; e scesi ulteriormente a 35 per effetto dell’ondata dei profughi. Il calo si spiega perché molti ucraini in età di lavoro sono emigrati in Europa (molte badanti, tanti muratori) e perché la speranza di vita degli ucraini rimasti si è accorciata (nel 2019 era di 66 anni).  Tuttavia, da settembre sono tornati circa 1 milione di profughi e, tra quelli che già vivevano in Europa, la percentuale di chi spera di fare ritorno in patria è salita dal 48 al 72%.
 
La ricostruzione dovrebbe, dunque, puntare a far tornare a Kiev tanti giovani laureati. In secondo luogo, va stabilito chi paga. C’è, in realtà, un precedente legale per chiedere ai russi a contribuire (il fondo per la compensazione dei danni subiti dal Kuwait nel 1990 con i proventi del petrolio venduto dall’Iraq) e, tuttavia, non è banale costringere gli oligarchi russi a farsi carico dei danni di guerra. La riparazione chiederà, necessariamente, all’Europa uno sforzo simile per dimensione a quello del NextGenerationEu, con strumenti per attrarre investimenti privati, chiamati non solo a ricostruire ma a rilanciare un grande Paese. Infine, chi controllerà la ricostruzione? La democrazia ucraina, assai fragile prima della guerra, ha trovato nella tragedia una credibilità nuova. E, tuttavia, paesi come il nostro, che dovrebbero più fortemente investire, dovranno contare di più nel disegno degli strumenti finanziari.  Ricostruire significa non solo pagare e far pagare un conto. Ma ricordarci che solidarietà ed efficienza economica possono, e debbono, coincidere.
 
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