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Migranti, ma che può fare la Ue?

Gli altri Paesi accolgono più profughi di noi

Riccardo Perissich 09/03/2023

Migranti, ma che può fare la Ue?  Migranti, ma che può fare la Ue? Quando si parla di immigrazione, tutti i partecipanti, in feroce disaccordo sul resto, sembrano convenire su un solo punto: dovrebbe occuparsene l’Europa. Ma l’integrazione degli immigrati è un compito nazionale e non europeo. Ciò riguarda tutti, quelli che siamo obbligati ad accogliere in base al diritto internazionale, quelli che vogliamo accogliere perché riteniamo di averne bisogno e quelli che magari non vorremmo, ma che sono arrivati e non riusciamo a mandar via. L’esperienza non è stata pienamente positiva da nessuna parte, indipendentemente dal metodo adottato. Intendiamoci, l’integrazione è possibile e l’esperienza lo dimostra; è però un fenomeno lento che richiede sforzi costanti e molte risorse. Nel frattempo, è giocoforza constatare una diffusa reazione di rigetto dell’immigrazione che riguarda tutti i paesi europei. A fronte di ciò tuttavia, c’è che abbiamo obblighi internazionali di accoglienza e abbiamo comunque bisogno di una certa dose di immigrati. Tutto però ci fa pensare che l’opinione pubblica europea non sarebbe a priori ostile all’immigrazione, se avesse la percezione che l’integrazione è sottoposta a regole rigorose e che i flussi sono sotto controllo.
 
L’Ue può fare molto per avvicinarci a questo obiettivo, utilizzando in pieno le sue risorse politiche e finanziarie. Tuttavia, anche in questo caso continuerebbero flussi di immigrazione irregolare. Il controllo delle frontiere resta quindi essenziale, ma può purtroppo portare a drammi, violenze e violazione dei diritti umani. Pericolo ancora più grave quando si tratta di frontiere marittime come quella del Mediterraneo centrale che riguarda soprattutto l’Italia; ne abbiamo avuto in questi giorni l’ennesima tragica prova. Anche se l’UE intervenisse per scoraggiare le partenze irregolari all’origine e poi i percorsi per arrivare alla frontiera dell’Ue, quest’ultimo passo, il più delicato resterebbe una gelosa prerogativa nazionale: un elemento di sovranità a cui nessun paese vuole rinunciare. Un organo europeo come Frontex può solo fornire supporto. Qui interviene il terzo elemento: la solidarietà. Essa si basa sull’ipotesi che l’Italia, paese di frontiera, subisca oneri più pesanti degli altri. È tuttavia senza fondamento. Quale che sia il metodo di calcolo, l’Italia ha una pressione migratoria inferiore a praticamente tutti gli altri paesi europei. Per non parlare di casi veramente drammatici come Grecia e Malta.
 
Del resto, il Mediterraneo non è la principale rotta d’ingresso; altre, come la rotta balcanica, quella orientale, o semplicemente i voli low cost, sono più importanti. Se ci fosse una ripartizione obbligatoria sulla base di criteri obiettivi, noi dovremmo accoglierne di più, non di meno. Armonizzare meglio le norme in materia di asilo sarebbe certamente utile perché eliminerebbe alcune inutili rigidità, ma meccanismi di solidarietà hanno senso solo in caso di arrivi eccezionali come nel 2015-16. Che del resto è la proposta che la Commissione attualmente in discussione. La conclusione è che una strategia europea sarebbe a portata di mano, ma i risultati concreti sono impediti dalla diffusa mancanza di fiducia reciproca dovuta anche a comportamenti italiani. In questa difficile prospettiva, Giorgia Meloni sta dando segni di cominciare a comprendere la complessità del problema; per esempio nell’ammettere che abbiamo bisogno di più immigrati legali. C’è evidentemente il problema Piantedosi, un ministro a cui si può applicare una specie di “legge di Murphy”: se c’è un possibile errore, lo commetterà.
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