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La "Great Resignation" della premier Ardern (e non solo)
Una sola ragione: "Sono umana"
Domenico De Masi 20/01/2023

Nella società industriale dilagava l'analfabetismo; la vita era breve e le ore di lavoro equivalevano a metà delle ore di vita; prevaleva il lavoro operaio (nella Manchester di metà Ottocento gli operai rappresentavano il 94% di tutta la popolazione attiva) che, comportando fatica e abbrutimento, veniva svolto prevalentemente per soddisfare bisogni primari come sfamare se stessi e la propria famiglia. Oggi prevalgono i diplomati e i laureati; i lavoratori che svolgono attività di tipo intellettuale, che lavorano cioè con il cervello e non con i muscoli, rappresentano più del 70% di tutta la forza lavoro; la longevità è tale che le ore dedicate al lavoro (70.000) rappresentano appena un decimo delle ore complessive della nostra vita (700.000). Praticamente le "grandi dimissioni", che saranno sempre più numerose con il passaggio dalla società industriale a quella postindustriale, indicano nient'altro che un numero crescente di persone antepone i bisogni espressivi a quelli strumentali. Infatti Jacinda Ardern ha concluso il suo discorso guardando il compagno Clarke Gayford e la figlia Neve, seduti in prima fila, e dicendo loro: "A Neve, la mamma non vede l'ora di essere lì quando inizierai la scuola quest'anno. E a Clarke, sposiamoci".
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