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Il Pnrr ha cancellato il criterio della spesa efficiente

Manca poco più di un anno alla conclusione del Piano

Claudio Di Donato 23/06/2025

Il Pnrr ha cancellato il criterio della spesa efficiente Il Pnrr ha cancellato il criterio della spesa efficiente Manca poco più di un anno al termine del Pnrr e l’Italia è già alla quinta revisione con la certezza che non sarà l’ultima. Sono già in agenda per l’autunno nuove modifiche corpose in termini di risorse che riguardano misure come Transizione 5.0 che è uno dei principali flop (ad oggi su 6,3 miliardi di dotazione, le risorse prenotate dalle imprese superano di poco il miliardo e quelle per progetti ultimati non arrivano a 80 milioni), e interventi per l’inclusione e la mobilità sostenibile. L’attuazione del Piano ha progressivamente cambiato filosofia. Le varie missioni avevano l’obiettivo di modernizzare il Paese e accelerare il recupero di ritardi nelle reti fisiche e immateriali. Progressivamente l’approccio si è spostato su interventi che garantissero la realizzazione della spesa entro i termini vincolanti sacrificando i criteri di efficacia ed efficienza. Una stortura peraltro piuttosto diffusa in Europa, tanto che la Corte dei conti europea recentemente ha bacchettato l’impostazione dei vari Piani e le modalità di valutazione da parte della Commissione che si fondano sul conseguimento di traguardi e obiettivi, anziché sul rimborso delle spese ammissibili. Allocazione efficiente delle risorse significa miglior rapporto tra soldi impiegati, attività intraprese e conseguimento degli obiettivi. Ma la Commissione UE non raccoglie e utilizza informazioni sulla spesa effettiva, le valutazioni si basano su costi stimati, così Bruxelles si focalizza non sui risultati, ma sulle realizzazioni.
 
Il caso dell’Italia è emblematico sia per la creatività amministrativa con una pletora di centri di spesa anche nell’ambito della stessa missione che ha condotto a un elevato livello di confusione e ritardi. Sulla sanità le regioni giocano un ruolo da protagonista ma i risultati sono meno che modesti, le risorse spese non arrivano al 30% della dotazione di 6,5 miliardi con casi da allarme rosso come la Sardegna che è ferma al 7,5%. Una missione assai rilevante come quella della transizione green registra confusione e contraddizioni. Il fallimento di Transizione 5.0 non è nella burocrazia ma nelle tempistiche. Le misure di incentivazione alle imprese funzionano quando sono pluriennali, 15 mesi per gestire e realizzare investimenti complessi significa azzoppare l’intervento e per il fondo destinato all’autoproduzione da rinnovabili da 320 milioni sono stati necessari oltre due anni per rendere disponibili le risorse ma le imprese, per presentare le domande, hanno avuto solo 47 giorni (festivi compresi). Nell’ambito della stessa missione, una delle modifiche più rilevanti riguarda le infrastrutture di ricarica elettrica: i punti previsti passano da 21.355 a 12mila e il finanziamento da 741 a 144 milioni, per la partecipazione deludente ai bandi. I soldi risparmiati sono stati riassegnati a un nuovo programma di rottamazione auto: 600 milioni per abbattere le emissioni di Co2 di 60mila tonnellate l’anno. Curioso però che il governo abbia cancellato poco prima gli incentivi per le auto elettriche con l’argomento che aiuterebbe i cinesi. L’accesso ai fondi per le comunità energetiche è stato esteso a tutti i Comuni sotto i 50mila abitanti (prima il limite era sotto 5mila), per migliorare le possibilità di spesa. Ma nessuno si è preoccupato di verificare se i Comuni di medie dimensioni abbiano progetti nel cassetto. Servirà molta creatività per la revisione d’autunno.
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