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I veri problemi del lavoro

Perché i referendum hanno sbagliato l'obiettivo

Claudio Di Donato 12/06/2025

I veri problemi del lavoro  I veri problemi del lavoro Al netto delle considerazioni sulla strategia politica e sui tatticismi di partiti e sindacato, il fallimento dei referendum riflette un clamoroso errore di lettura della realtà. I tre quesiti per svuotare il Job Act non rappresentano infatti le criticità che evidenzia oggi il mercato del lavoro che si chiamano carenza di personale, basso tasso di partecipazione e basse retribuzioni. Anche in riferimento alla precarietà, la riforma di Renzi e Poletti non ha alimentato il fenomeno che tra il 2012 e il 2024 continua a oscillare intorno al 14%. Negli ultimi 10 anni gli occupati sono aumentati di circa 2,4 milioni, al tempo stesso il tasso di occupazione è salito al 62,2% ma rimane agli ultimi posti in Europa e distante ben 15 punti rispetto alla Germania. Preoccupante l’andamento dei salari medi reali, che accusano una contrazione del 5% tra il 1997 e il 2023, solo la Grecia ha fatto peggio, poco meglio la Spagna dove però il reddito operativo delle aziende nello stesso periodo è aumentato del 23%, mentre in Italia risulta praticamente invariato. Non possiamo nemmeno dare la colpa all’avidità degli imprenditori a differenza ad esempio di quanto avvenuto in Portogallo dove le retribuzioni sono salite del 45%, ma i profitti del 242%.
 
I veri problemi allora sono bassa crescita e produttività stagnante. Le ore lavorate sono in costante crescita e l’anno scorso hanno superato la soglia dei 44 miliardi, massimo storico dal 2000. Il problema però è che la crescita, seppur anemica, si realizza in settori a basso valore aggiunto e con margini irrisori di aumento della produttività. Le ore lavorate nell’industria in senso stretto l’anno scorso sono state meno del 15% del totale (e siamo la seconda manifattura d’Europa), nel 2015 l’incidenza era al 17,6% e nel 2007 intorno al 20%. Aumenta invece il peso dei servizi alla persona e alla comunità. Un settore come l’automotive ha registrato un rilevante aumento di produttività, ma in termini di valore aggiunto pesa soltanto il 7% dell’economia italiana, mentre in Germania è pari al 27%. C’è anche una questione fiscale: sui redditi sotto i 30mila euro il nodo non è il peso dell’Irpef, ma l’ammontare del lordo. Al contrario, il famigerato ceto medio sconta un gap consistente: un reddito da lavoro dipendente da 55mila euro è soggetto a un’imposta lorda di quasi 16mila euro, in Francia è sotto i 9mila. Insomma, se si pongono le domande sbagliate, non si possono avere risposte corrette.
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