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Claudio Di Donato 06/06/2025

Molte forze politiche (anche di maggioranza) sono a favore del disaccoppiamento (due borse separate per rinnovabili e gas) ma il trend delle quotazioni all’ingrosso mostra in modo chiaro che non c’è una criticità nel meccanismo di formazione del prezzo e dunque non si comprende la ragione di abbandonare un sistema in cui i costi di equilibrio riflettono i costi marginali (che rappresenta la norma nei mercati delle commodity). Tra l’altro il disaccoppiamento non è a costo zero (il rischio è introdurre di fatto una tassa sulle rinnovabili frenandone lo sviluppo), con potenziali pericolose asimmetrie se non fosse adottato in tutta Europa. Insomma, le bollette elevate hanno poco a che fare con i meccanismi di formazione del prezzo e con l’assenza del nucleare (molti paesi non hanno i reattori e pagano l’energia meno di noi), ma risentono di dinamiche di mercato poco orientate alla concorrenza e soprattutto di alti e sproporzionati livelli di tassazione. Secondo i dati Eurostat la tassazione media sull’energia in Italia è intorno al 26% contro il 18% della media europea, ma al netto della manifattura (Iva ridotta) e delle agevolazioni alle imprese energivore, l’incidenza sfiora il 40%. Considerando gli oneri generali di sistema, per una piccola impresa non manifatturiera e una famiglia che non beneficia dei bonus, metà del costo della bolletta è rappresentato da oneri parafiscali. Dove occorre intervenire è chiaro, ma si continua a parlare d’altro.
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