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Il fallimento di Transizione 5.0

Meno di un miliardo le risorse impegnate su una dotazione di 6,3

Claudio Di Donato 14/05/2025

Il fallimento di Transizione 5.0  Il fallimento di Transizione 5.0 Il fallimento di Transizione 5.0 è ormai evidente. Su una dotazione di 6,3 miliardi, le risorse prenotate sono meno di 900 milioni al 12 maggio e quelle erogate per progetti completati ammontano a soli 34 milioni. Lo strumento offriva la possibilità di attivare investimenti da parte delle aziende, in particolare PMI, per oltre 20 miliardi per migliorare l’efficienza energetica e la digitalizzazione, ma il governo ha sistematicamente ignorato le osservazioni delle associazioni d’impresa sulla estrema complessità della procedura, salvo introdurre alcune semplificazioni a inizio anno che non hanno prodotto i risultati auspicati. Un “mostro” di regolamento (definizione del Ministro Giorgetti) ha vanificato una misura che sulla carta era più efficiente di Industria 4.0 a partire dalle modalità di erogazione (contributo diretto fino al 45% dell’investimento al posto del credito d’imposta in compensazione).
 
La premier e il ministro Urso hanno aperto a una revisione del piano ipotizzando di spostare parte delle risorse ad altri interventi e uno potrebbe essere Industria 4.0 che nel periodo 2020-2023 ha attivato quasi 30 miliardi di investimenti in beni strumentali, ma con molti interrogativi sull’effettiva capacità di rafforzare la produttività, rilanciare l’innovazione e migliorare nel complesso il tessuto produttivo. Altra misura che potrebbe essere potenziata è il fondo da 320 milioni per sostenere l’installazione di piccoli impianti da fonti rinnovabili da parte delle piccole imprese. Uno strumento funzionale per ridurre i costi energetici ma è stato necessario quasi un anno e mezzo per metterlo a punto. Curioso poi che la procedura sia stata affidata a Invitalia a differenza di Transizione 5.0 e ancora più curioso che le imprese abbiano soltanto un mese e mezzo (e con un ampliamento in extremis al 17 giugno) per presentare le domande con relativi progetti mentre Invitalia le valuterà in quattro mesi. È evidente che c’è molto da rivedere nella messa a punto degli incentivi alle imprese: se sono semplici, automatici ma molto generici il governo non riesce a misurarne l’efficacia; se, al contrario, offrono un intervento lungimirante a tutela del sistema industriale italiano faticano a funzionare.
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