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Se rallenta l'export

…il Nord rischia di arretrare

Giuseppe Roma 09/05/2025

Se rallenta l'export  Se rallenta l'export La moratoria sull’introduzione dei dazi e l’imprevedibilità trumpiana, oltre naturalmente agli straordinari eventi di questi giorni, hanno affievolito l’attenzione pubblica verso una possibile stasi dell’economia globale. E un Paese come l’Italia non può permettersi disattenzioni essendo fortemente dipendente dalle esportazioni. Oltre agli impatti settoriali (alimentare, piuttosto che macchinari o altro) andrebbero considerati anche gli impatti territoriali. I dati Istat dell’export per Sistemi Locali del Lavoro (al 2022) aiutano a segnalare quali distretti rischiano di più. Fra i primi 25 territori con i più elevati volumi di esportazioni 8 sono collocati nell’Italia Nord Occidentale (Milano, Torino, Bergamo, Busto Arstizio, Brescia, Lecco, Como, Genova), 13 nel Nord Est dove brillano Bologna e l’asse della Via Emilia fino a Parma, Padova con Treviso e Venezia, ma anche distretti significativi come Bassano del Grappa, Arzignano o Pordenone. Nel Centro Sud, a superare la soglia dei 4 miliardi di export sono solo Roma, Firenze, Arezzo e Napoli.
 
Anche nelle prime posizioni il volume dell’export varia molto e si passa da un valore di 58 miliardi di euro di Milano, ai 20,7 di Torino e gli oltre 13 di Bergamo, Bologna e Firenze. L’incidenza del mercato statunitense sul volume complessivo di merci dirette all’estero si aggira, in queste aree, attorno al 10%, valore medio superato in diversi casi come Bologna (14,9%), Torino (12,1%) Firenze (11,9%), Arzignano (11.4%). Le aree più produttive del Paese rischiano, a questo punto, di rallentare la loro marcia, con conseguenti impatti negativi non solo sul Pil, ma anche sugli equilibri geografici e socio-economici italiani. Verrebbe meno una funzione di traino e di sviluppo dell’innovazione che compensa la più bassa produttività delle aree in ritardo di sviluppo. Al tempo stesso, verrebbe a ridursi quella capacità attrattiva che ha reso possibile la crescita di un’economia urbana robusta a partire dai grattaceli di Milano, ai centri della logistica, ai data center, recenti evoluzioni del modello distrettuale. Forse, più che autonomie regionali differenziate, andrebbero urgentemente messe in atto nuove strategie di riposizionamento dei territori produttivi nei mercati mondiali.
 
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