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Il giusto “pasticcio” dell'Inps

Per bloccare l'aumento dell'età pensionabile all'aspettativa di vita occorre una legge

Giampaolo Galli 14/01/2025

Il giusto “pasticcio” dell'Inps  Il giusto “pasticcio” dell'Inps In base all’art. 12 del decreto legge 78 del 31 maggio 2010, opera dunque del governo di centro-destra e tuttora vigente, l’età pensionabile deve essere adeguata ogni tre anni (dal 2019, ogni due anni) in base alla speranza di vita a 65 anni, così come calcolata dall’Istat. L’adeguamento viene realizzato tramite “un decreto direttoriale del Ministero dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, da emanare almeno 12 mesi prima della data di decorrenza di ogni aggiornamento”. La legge specifica poi che “La mancata emanazione del predetto decreto comporta responsabilità erariale”. Dunque l’adeguamento rispetto ai parametri Istat è un obbligo di legge. Per evitare che scattino gli adeguamenti, occorre una legge dello Stato. In sua assenza, il Ministro dell’Economia non ha scelta. Pare quindi ragionevole dire che “a legislazione vigente”, l’adeguamento viene fatto. Bene dunque ha fatto l’Inps a introdurre l’adeguamento nel calcolatore pensionistico che non è una certificazione, ma ha lo scopo di aiutare le persone a prevedere la propria pensione. Bene ha fatto, a maggior ragione dato che l’adeguamento è previsto nel Piano Strutturale di Bilancio, a pag. 220 dove, sotto il titolo “Piano per adeguamento requisiti anagrafici di accesso al pensionamento”, si fa riferimento a tutte le raccomandazioni della Commissione Europea degli ultimi 5 anni.
 
Nel momento in cui la CGIL ha lanciato l’allarme, il 9 gennaio, il calcolatore Inps riportava che per andare in pensione dal 2027 sarebbero serviti 67 anni e 3 mesi di età per l'assegno di vecchiaia, o 43 anni e un mese di contributi per quello di anzianità (un anno in meno per le donne); un rialzo di tre mesi rispetto ai requisiti attuali. Dal 2029, poi, stando al simulatore Inps sarebbero serviti ulteriori due mesi in più. Si tratta di un adeguamento non drammatico, giustificato dai ben noti andamenti demografici dell’Italia. Per confronto dal 2011 (riforma Fornero) ad oggi, l’adeguamento all’Istat ha comportato un aumento dell’età di pensionamento di un anno, da 66 a 67 anni. L’ultimi scatto, di ben 5 mesi, è avvenuto nel 2019, prima della sospensione della norma per il Covid. Naturalmente è lecito che il governo decida, come è successo varie volte in passato, di non effettuare l’adeguamento. Ma non se la prenda con l’Inps e soprattutto rifletta sulle conseguenze che il mancato adeguamento avrebbe sulla spesa pensionistica e dunque sulle tasse degli italiani nei prossimi anni.
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