Versione stampabile Riduci dimensione testo Aumenta dimensione testo

La battaglia del Green Deal

Non basta invocare "pragmatismo" e rinvii

Sergio De Nardis 19/12/2024

Ursula von der Leyen Ursula von der Leyen Il Green deal europeo (di cui è parte la regolamentazione sulla vendita di auto nel 2035) è funzionale a un percorso per raggiungere il target di emissioni nette zero entro metà secolo. Ciò è a sua volta strumentale al raggiungimento dell'obiettivo dell'accordo di Parigi, a cui hanno aderito 195 paesi, di limitare entro 1,5 gradi l'aumento delle temperature rispetto ai livelli preindustriali. Questi target non li ha fissati un burocrate di Bruxelles, ma sono fondati sulla nostra migliore conoscenza scientifica circa il clima, l'impatto del riscaldamento globale, i rischi del superamento di diverse soglie di temperatura. Il raggiungimento di quegli obiettivi da parte dei paesi sottoscrittori è necessario per le sorti della vita umana (e quindi anche economica).
 
Andare oltre i target significa aumentare esponenzialmente l'intensità e la diffusione degli eventi climatici estremi con danni e costi (agricoltura, acqua, salute) sempre più grandi, causare l'innalzamento del livello dei mari (non solo Venezia, ma milioni di persone nel mondo sarebbero colpite), indurre distruzione di interi ecosistemi e della biodiversità del pianeta con ricadute anche economiche difficili da valutare. E' superfluo aggiungere che in una simile prospettiva le migrazioni per fuga dalle zone dei disastri ambientali sarebbero ancor più massicce e le guerre più frequenti di quanto accade oggi. E' una prospettiva che non riguarda generazioni future difficili da immaginare: sono già nati coloro che saranno più gravemente colpiti dagli effetti del fallimento dell'accordo di Parigi.
 
Rispetto a tutto ciò si vorrebbero risposte all'altezza da parte delle classi dirigenti che contestano il Green deal per le sue modalità e tempistiche. Il capo del governo italiano dice che la lotta al cambiamento climatico non deve provocare il deserto industriale. E' un'affermazione a effetto, non al livello delle sfide esistenziali con cui dobbiamo confrontarci. Dica invece come pensa che, in alternativa alle modalità del Green deal, si possano rispettare gli obiettivi di Parigi: ha in mente una via diversa? Parlare in modo generico di neutralità tecnologica, come fa Meloni, sembra nient'altro che un modo di mirare allo smantellamento del Green deal, facendo compiere decisivi passi indietro al programma di mitigazione climatica. Le Confindustrie di Italia e Spagna sollecitano la revisione del patto verde europeo. Ma è un appello puramente difensivo, volto a risparmiare, frenare, rinviare, annacquare.
 
Dovrebbero invece dire quale alternativa propongono rispetto ai rischi climatici: occorre che a tassazione/multe (disincentivi) e regole (imposizione di comportamenti) vengano affiancati maggiori sussidi e beni pubblici a livello europeo, fermo restando gli obiettivi di zero net emission? O pensano, più radicalmente, ci sia ancora possibilità, nei tempi stabiliti della decarbonizzazione, di tecnologie alternative all'elettrico che salvaguardino la vecchia industria dell'auto? Lo dimostrino, si facciano parte attiva. Nessuno lo fa. Purtroppo il vero motivo non esplicitato è che la politica, salita sulle spalle di Trump, scommette sulla prossima messa in soffitta degli obiettivi di Parigi. Per costoro la scienza sbaglia, ci sono ampie possibilità di permanenti trade off tra le esigenze climatiche e quelle di brevissimo termine dell'economia. E' una visione miope, colpisce che oggi sia diventato perfino difficile dirlo.
Altre sull'argomento
Se il mondo va…al contrario
Se il mondo va…al contrario
Dal ripudio della finanza verde alla retromarcia sulle fake news
L'auto europea? Un'aristocrazia decadente
L'auto europea? Un'aristocrazia decadente
E le risposte messe in campo sinora non sembrano risolutive
Clima, i passetti avanti della Cop29
Clima, i passetti avanti della Cop29
Aumentate da 100 a 300 miliardi le risorse per i paesi poveri e si ...
Pubblica un commento
Per inserire un nuovo commento: Scrivi il commento e premi sul pulsante "INVIA".
Dopo l'approvazione, il messaggio sarà reso visibile all'interno del sito.
Paolo Carnazza 23/12/2024 09:37
La Nota di De Nardis è condivisibile nella seconda parte, mentre non concordiamo con le riflessioni contenute nella parte iniziale. In particolar modo, condividiamo le preoccupazioni dell’autore sugli effetti dei cambiamenti climatici (tangibili ormai da diversi anni) e sulla necessità di trovare soluzioni e strategie per abbattere l’emissione di CO2 come condividiamo la necessità che la classi dirigenti, che contestano il Green Deal, debbano indicare quali alternative propongono per attenuare i rischi climatici. Meno condivisibile è, invece, la posizione di De Nardis quando afferma che i divieti di circolazione delle macchine elettriche a partire dal 2035 “non li ha fissati un burocrate di Bruxelles, ma sono fondati sulla nostra migliore conoscenza scientifica circa il clima, l'impatto del riscaldamento globale, i rischi del superamento di diverse soglie di temperatura”. Condivisibile è invece, a nostro parere, la tesi opposta, molto diffusa, confermata in un’intervista al Sole 24 Ore del 19 dicembre del corrente anno a Marco Tronchetti Provera, Presidente della Pirelli, che in Europa sono state fatte, in realtà, scelte ideologiche errate non accompagnate da un’analisi rigorosa dei costi, dei tempi e della sostenibilità sociale. Si è costruito un passaggio al “full Electric” senza valutare la povertà dell’Europa in termini di materie prime e componenti tecnologiche, come le batterie, e sottovalutando la capacità competitiva della Cina che, da anni, sta producendo macchine elettriche che non faranno fatica a penetrare nei mercati europei. In sintesi, il percorso verso il 2035 è stato delineato senza un’analisi accurata degli impatti ambientali; seguendo le parole del Presidente della Pirelli “oggi nessuno può dimostrare che l’estrazione del litio o del cobalto, così come riciclare batterie o costruire vetture che nell’elettrico hanno un peso superiore del 20%, costituisca dal punto di vista ambientale un passo avanti rispetto all’evoluzione di motori a combustione interna, diventati sempre più efficienti.” La risposta vincente potrebbe essere quella di spingere le principali case automobilistiche europee a sedersi intorno a un tavolo, a cui dovrebbero partecipare anche i consumatori attualmente confusi e spaesati, per trovare una soluzione che tenga conto delle tecnologie esistenti e/o da implementare, della manodopera specializzata, dell’evoluzione della domanda e delle pressioni competitive esercitate dalla Cina. In questo scenario la chiave fondamentale è rappresentata dall’innovazione che dovrebbe essere sviluppata dalle imprese, accompagnata però da incentivi ad hoc finalizzati a guidare le imprese a fare il salto tecnologico e, più in generale, a gestire la transizione energetica.
Paolo Carnazza 23/12/2024 09:37
La Nota di De Nardis è condivisibile nella seconda parte, mentre non concordiamo con le riflessioni contenute nella parte iniziale. In particolar modo, condividiamo le preoccupazioni dell’autore sugli effetti dei cambiamenti climatici (tangibili ormai da diversi anni) e sulla necessità di trovare soluzioni e strategie per abbattere l’emissione di CO2 come condividiamo la necessità che la classi dirigenti, che contestano il Green Deal, debbano indicare quali alternative propongono per attenuare i rischi climatici. Meno condivisibile è, invece, la posizione di De Nardis quando afferma che i divieti di circolazione delle macchine elettriche a partire dal 2035 “non li ha fissati un burocrate di Bruxelles, ma sono fondati sulla nostra migliore conoscenza scientifica circa il clima, l'impatto del riscaldamento globale, i rischi del superamento di diverse soglie di temperatura”. Condivisibile è invece, a nostro parere, la tesi opposta, molto diffusa, confermata in un’intervista al Sole 24 Ore del 19 dicembre del corrente anno a Marco Tronchetti Provera, Presidente della Pirelli, che in Europa sono state fatte, in realtà, scelte ideologiche errate non accompagnate da un’analisi rigorosa dei costi, dei tempi e della sostenibilità sociale. Si è costruito un passaggio al “full Electric” senza valutare la povertà dell’Europa in termini di materie prime e componenti tecnologiche, come le batterie, e sottovalutando la capacità competitiva della Cina che, da anni, sta producendo macchine elettriche che non faranno fatica a penetrare nei mercati europei. In sintesi, il percorso verso il 2035 è stato delineato senza un’analisi accurata degli impatti ambientali; seguendo le parole del Presidente della Pirelli “oggi nessuno può dimostrare che l’estrazione del litio o del cobalto, così come riciclare batterie o costruire vetture che nell’elettrico hanno un peso superiore del 20%, costituisca dal punto di vista ambientale un passo avanti rispetto all’evoluzione di motori a combustione interna, diventati sempre più efficienti.” La risposta vincente potrebbe essere quella di spingere le principali case automobilistiche europee a sedersi intorno a un tavolo, a cui dovrebbero partecipare anche i consumatori attualmente confusi e spaesati, per trovare una soluzione che tenga conto delle tecnologie esistenti e/o da implementare, della manodopera specializzata, dell’evoluzione della domanda e delle pressioni competitive esercitate dalla Cina. In questo scenario la chiave fondamentale è rappresentata dall’innovazione che dovrebbe essere sviluppata dalle imprese, accompagnata però da incentivi ad hoc finalizzati a guidare le imprese a fare il salto tecnologico e, più in generale, a gestire la transizione energetica.