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L'auto europea? Un'aristocrazia decadente
E le risposte messe in campo sinora non sembrano risolutive
Claudio Di Donato 04/12/2024
Uno stabilimento Volkswagen
Come ha ben sottolineato Riccardo Illy su InPiù, dipingere Tavares come l'affossatore di Stellantis non solo è ingeneroso ma fuorviante rispetto alle difficoltà del gruppo e più in generale del settore auto europeo. Sull'elettrico, Fca e Psa erano le più attardate in Europa, ma anche le case più avanti sono alle prese con sfide complicate. Tesla vende in Cina 45mila veicoli al mese, il concorrente Eqe della Mercedes è in caduta libera con 2.500 auto, ma in 10 mesi. Volkswagen vende poche auto elettriche in Europa e pochissime termiche in Cina. Gli europei, ovvero l'aristocrazia dell'auto mondiale, fino a poco tempo fa consideravano Elon Musk un visionario che si sarebbe schiantato, guardavano alla Cina come un grande mercato che avrebbero dominato e consideravano gli americani un reperto storico dell'automobile. Arroganza e spocchia non hanno pagato. Immaginare di gestire la transizione all'elettrico puntando quasi esclusivamente sull'alto di gamma si è rivelato un errore clamoroso.
Tornando a Tavares, Stellantis non era indietro solo sull'elettrico ma anche negli investimenti per sviluppare le grandi piattaforme (Bmw dall'anno prossimo ne utilizzerà soltanto una). Inoltre nella storia dell'auto, le grandi fusioni (rare) hanno steccato (leggi Mercedes-Chrysler) e la gestione efficiente di tanti marchi quasi sempre si è rivelata perdente (vedi Gm).
Nello specifico dell'automotive italiano, le continue liti tra l'industria e il governo non hanno favorito la ricerca di soluzioni. Dagli anni '90 a oggi in Italia si parla esclusivamente dell'italianità di Fiat, come se il passaporto dell'azionista di riferimento assicuri le attività industriali (basterebbe guardare i numeri di Regno Unito e Spagna). Invece, dalla grave crisi della Fiat nel 1992 ai giorni nostri è sempre mancata la capacità di rispondere alla domanda se l'Italia offra le condizioni necessarie per produrre auto. Se gli stabilimenti Stellantis in Spagna (dove l'energia costa il 60% in meno dell'Italia) producono volumi simili alla somma di quelli italiani e francesi, forse c'è parte della risposta. Le prospettive non sono incoraggianti. Spostare in avanti lo stop ai motori termici, potenziare il sistema di incentivazione all'acquisto e mettere i dazi sulle elettriche cinesi non sembra la soluzione, ma solo la presa d'atto della sconfitta.
Tornando a Tavares, Stellantis non era indietro solo sull'elettrico ma anche negli investimenti per sviluppare le grandi piattaforme (Bmw dall'anno prossimo ne utilizzerà soltanto una). Inoltre nella storia dell'auto, le grandi fusioni (rare) hanno steccato (leggi Mercedes-Chrysler) e la gestione efficiente di tanti marchi quasi sempre si è rivelata perdente (vedi Gm).
Nello specifico dell'automotive italiano, le continue liti tra l'industria e il governo non hanno favorito la ricerca di soluzioni. Dagli anni '90 a oggi in Italia si parla esclusivamente dell'italianità di Fiat, come se il passaporto dell'azionista di riferimento assicuri le attività industriali (basterebbe guardare i numeri di Regno Unito e Spagna). Invece, dalla grave crisi della Fiat nel 1992 ai giorni nostri è sempre mancata la capacità di rispondere alla domanda se l'Italia offra le condizioni necessarie per produrre auto. Se gli stabilimenti Stellantis in Spagna (dove l'energia costa il 60% in meno dell'Italia) producono volumi simili alla somma di quelli italiani e francesi, forse c'è parte della risposta. Le prospettive non sono incoraggianti. Spostare in avanti lo stop ai motori termici, potenziare il sistema di incentivazione all'acquisto e mettere i dazi sulle elettriche cinesi non sembra la soluzione, ma solo la presa d'atto della sconfitta.
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