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Come tenere insieme ambiente, industria e sicurezza
Le complessità della politica industriale europea
Sergio De Nardis 24/10/2024
Come tenere insieme ambiente, industria e sicurezza
“Green-digital-secure” è la strategia-guida della politica industriale europea. A parte i ritardi di iniziative lungo una strada che appare ancora nebulosa, vi è più in generale un problema mai esplicitamente affrontato che l’Europa, in verità, si trascina da tempo, sin dalla (fallita) strategia di Lisbona. Quello della compatibilità e del coordinamento tra mega-target presentati tutti come ugualmente desiderabili. Nello specifico i tre grandi obiettivi di politica industriale non vanno nella stessa direzione. "Green" e nuove tecnologie non coesistono più come nel passato. L’intelligenza artificiale è fortemente energivora, talché le tradizionalmente basse emissioni di colossi digitali come Microsoft e Google si sono innalzate sensibilmente negli ultimi anni, di pari passo con il più intenso ricorso ai data center. E “green” e “secure” non vanno insieme per palesi motivi di competitività industriale, oltre che per le esigenze di difesa in un mondo altamente conflittuale. Siamo spinti a proteggerci dai (sussidiati) prodotti a bassa emissione cinesi, che favorirebbero i nostri target climatici, per sostenere (si auspica) una “industria nascente” europea di auto elettriche e batterie. E avvertiamo il costo competitivo dell’articolato sistema europeo di carbon pricing e permessi di emissione in un contesto globale molto disuguale (v. l’ultimo rapporto Confindustria). Al contempo, dobbiamo aumentare le spese militari, a elevato impatto ambientale e in competizione con la trasformazione green per il reperimento di mezzi finanziari.
L’economia è la scienza triste delle risorse scarse e si trova regolarmente a fronteggiare problemi di scelta tra obiettivi contrastanti. La via d’uscita è trovare un equilibrio di compromesso (trade-off) tra differenti target, perseguendo ciascun obiettivo col suo specifico strumento di policy. Solo che l’odierna materia del contendere è assai diversa. Non si tratta di scegliere tra disoccupazione e inflazione che si trovano, almeno, su scale di grandezza comparabili. Ciò che colpisce oggi è l’incommensurabilità degli obiettivi. C’è effettivamente un trade-off tra ambiente e altri target quando questi vanno in senso contrario? Ed esistono specifici strumenti di policy da poter dedicare, indipendentemente, a ciascuno di essi? E’ lecito dubitare. Tuttavia, se ci si convince che è un errore ascoltare gli allarmi della scienza che portano a considerare il rischio climatico come esistenziale - nel senso preciso di minaccia incombente per la specie e non, piuttosto, per le specificità europee o italiane o altre (preoccupazione primaria degli altri obiettivi) - allora sì che si aprono spazi per trade-off e fine tuning delle politiche. E’ la strada verso cui sembra ci si stia concretamente avviando (si veda l'approccio italiano), adattandosi a convivere coi disastri climatici correnti e ipotizzando che lo stato attuale sia, per un po’, il nuovo steady state, senza peggiori punti di non ritorno in prospettiva. Si pensa, cioè, di avere più tempo di aggiustamento di quel che dicono gli scienziati per contemperare le diverse esigenze. Forse è così, ma data la posta in gioco si può dire, come minimo, che è una scommessa alla cieca.
L’economia è la scienza triste delle risorse scarse e si trova regolarmente a fronteggiare problemi di scelta tra obiettivi contrastanti. La via d’uscita è trovare un equilibrio di compromesso (trade-off) tra differenti target, perseguendo ciascun obiettivo col suo specifico strumento di policy. Solo che l’odierna materia del contendere è assai diversa. Non si tratta di scegliere tra disoccupazione e inflazione che si trovano, almeno, su scale di grandezza comparabili. Ciò che colpisce oggi è l’incommensurabilità degli obiettivi. C’è effettivamente un trade-off tra ambiente e altri target quando questi vanno in senso contrario? Ed esistono specifici strumenti di policy da poter dedicare, indipendentemente, a ciascuno di essi? E’ lecito dubitare. Tuttavia, se ci si convince che è un errore ascoltare gli allarmi della scienza che portano a considerare il rischio climatico come esistenziale - nel senso preciso di minaccia incombente per la specie e non, piuttosto, per le specificità europee o italiane o altre (preoccupazione primaria degli altri obiettivi) - allora sì che si aprono spazi per trade-off e fine tuning delle politiche. E’ la strada verso cui sembra ci si stia concretamente avviando (si veda l'approccio italiano), adattandosi a convivere coi disastri climatici correnti e ipotizzando che lo stato attuale sia, per un po’, il nuovo steady state, senza peggiori punti di non ritorno in prospettiva. Si pensa, cioè, di avere più tempo di aggiustamento di quel che dicono gli scienziati per contemperare le diverse esigenze. Forse è così, ma data la posta in gioco si può dire, come minimo, che è una scommessa alla cieca.
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