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Per Transizione 5.0 partenza lenta, anzi lentissima
Sarà inevitabile cambiare la procedura e tornare a forme di automatismo
Claudio Di Donato 16/10/2024
Per Transizione 5.0 partenza lenta, anzi lentissima
In un incontro a Palazzo Chigi con i rappresentanti delle imprese, il ministro Giorgetti avrebbe definito Transizione 5.0 “un mostro”. La misura di incentivazione per l’efficientamento energetico e la digitalizzazione delle imprese in effetti si articola con una procedura che per complessità non teme confronti. Quasi 10 mesi per definire la cornice giuridica, la circolare operativa conta oltre 100 pagine. A tre mesi dall’avvio le risorse impegnate non arrivano a 100 milioni a fronte di una dotazione di 6,3 miliardi, del Pnrr, per investimenti da completare entro la fine del 2025. Il presidente di Confindustria Orsini ha proposto di estendere la misura anche agli investimenti avviati nel 2023 con Industria 4.0 e non ancora ultimati, adattandoli alle disposizioni di Transizione 5.0. Sarebbe sufficiente rivedere il decreto attuativo e la circolare ampliando il periodo senza toccare la norma primaria che richiederebbe un passaggio a Camera e Senato. Estensione auspicabile, in particolare per gli investimenti importanti che richiedono tempi di realizzazione di oltre un anno. Ma non risolutiva.
La falsa partenza di Transizione 5.0 risiede nella procedura autorizzativa con un numero elevato di passaggi burocratici, l’eliminazione degli automatismi che hanno fatto la fortuna di Industria 4.0 in termini di efficienza operativa, l’interpretazione restrittiva del principio DNSH (azzerare o minimizzare il danno significativo all’ambiente). Inoltre c’è carenza di dati sull’esercizio 2023 per confrontare le performance energetiche del nuovo investimento e le difficoltà nel disegnare lo scenario controfattuale per i nuovi processi previsto dalla normativa. Gli incentivi infatti sono vincolati alla riduzione dei consumi, almeno il 3% del sito produttivo o, in alternativa, il 5% dei processi interessati dall’investimento. Anche i benefici per realizzare impianti fotovoltaici sono vincolati al taglio dei consumi. Maggiore è il risparmio energetico, più alto è l’incentivo ma per avere le aliquote più elevate occorre anche acquistare prodotti made in Europe e, ad esempio, per i pannelli fotovoltaici è prevista una maggiorazione del beneficio a condizione che siano quelli con efficienza pari almeno al 23,5%, ma di questi prodotti costruiti all’interno dell’UE c’è autentica penuria e molte imprese preferiscono attendere. Rivedere meccanismi e procedure sembra inevitabile, altrimenti il “mostro” di Giorgetti diventerà il simbolo di Transizione 5.0.
La falsa partenza di Transizione 5.0 risiede nella procedura autorizzativa con un numero elevato di passaggi burocratici, l’eliminazione degli automatismi che hanno fatto la fortuna di Industria 4.0 in termini di efficienza operativa, l’interpretazione restrittiva del principio DNSH (azzerare o minimizzare il danno significativo all’ambiente). Inoltre c’è carenza di dati sull’esercizio 2023 per confrontare le performance energetiche del nuovo investimento e le difficoltà nel disegnare lo scenario controfattuale per i nuovi processi previsto dalla normativa. Gli incentivi infatti sono vincolati alla riduzione dei consumi, almeno il 3% del sito produttivo o, in alternativa, il 5% dei processi interessati dall’investimento. Anche i benefici per realizzare impianti fotovoltaici sono vincolati al taglio dei consumi. Maggiore è il risparmio energetico, più alto è l’incentivo ma per avere le aliquote più elevate occorre anche acquistare prodotti made in Europe e, ad esempio, per i pannelli fotovoltaici è prevista una maggiorazione del beneficio a condizione che siano quelli con efficienza pari almeno al 23,5%, ma di questi prodotti costruiti all’interno dell’UE c’è autentica penuria e molte imprese preferiscono attendere. Rivedere meccanismi e procedure sembra inevitabile, altrimenti il “mostro” di Giorgetti diventerà il simbolo di Transizione 5.0.
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