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Transizione ecologica e crisi dell'auto (europea)

Ritardi ed errori manageriali all'origine delle difficoltà attuali

Andrea Boitani 20/09/2024

Transizione ecologica e crisi dell'auto (europea)  Transizione ecologica e crisi dell'auto (europea) Le case automobilistiche europee stanno, con differenti gradi di vocalità, richiedendo una riduzione della velocità della transizione verso i motori puliti, deciso dal Parlamento Europeo nel 2023, con lo stop alla vendita di auto con motori endotermici entro il 2035. I produttori di auto attribuiscono a una transizione troppo accelerata la crisi di vendite che, da qualche anno, sta intaccando i loro profitti e che, temono, andrà inasprendosi nel prossimo futuro. Alcuni commentatori sostengono che la scelta europea è stata troppo improvvisa e non ha tenuto conto dei piani di investimento delle case automobilistiche europee e che una transizione rapida (se 12 anni sembrano pochi…) favorisce l’industria cinese dell’auto e delle batterie, che sullo sviluppo di auto elettriche economiche e appetibili dai consumatori ha investito da anni.
 
Meno evidenziato è il fatto che l’industria europea dell’auto (e quella tedesca, che ne è magna pars, in particolare) per molti anni ha continuato a puntare sulla trinità “lusso, potenza e diesel”, ignorando la crisi climatica in atto e non provando ad anticipare il cambiamento delle regole che sarebbe inevitabilmente avvenuto e neppure la crescente disaffezione all’auto da parte delle giovani generazioni (dotate di maggiore coscienza ecologica), che comprano meno auto e moto dei loro genitori. La crisi dell’auto europea è, dunque, frutto anche degli errori strategici dei manager. Detto questo, rimane per le autorità europee e i governi nazionali il problema di come evitare che quegli errori strategici si traducano in un accelerato declino industriale e in una catastrofe occupazionale. Dubito che limitarsi a mettere dazi elevati sulle auto elettriche cinesi sia la soluzione, perché renderebbe più costosa la necessaria transizione ecologica e anche perché a quella mossa seguirebbe la risposta cinese. Le guerre commerciali fanno perdere tutti. Le politiche industriali forse no.
 
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