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La prima è se il processo si sia esaurito col 2021. Per una risposta si dovrà attendere la prossima rilevazione annuale delle statistiche di impresa. Tuttavia, si può presumere da vari indicatori che anche il 2022 sia stato un anno di effervescenza, in particolare nei servizi. La seconda domanda, avanzata dagli scettici, è se un simile dinamismo fu vera gloria. Il 2021-2022 è stato un periodo straordinario di rimbalzo, sospinto da una politica fiscale nazionale, oltre che monetaria europea, eccezionalmente espansiva. Ci si deve attendere che, col venir meno degli stimoli, i guadagni si annullino? E’ una giusta preoccupazione che richiama, però, alcune osservazioni. Innanzitutto, alla luce dei risultati conseguiti l’esperienza del 2021-22 non va archiviata come condanna della politica fiscale espansiva: droga che ha fatto esplodere il debito pubblico. Al contrario, quella politica (Conte-2 e Draghi) si è rivelata una scelta corretta da fare in quelle circostanze. Scelta che è invece del tutto mancata nelle due precedenti recessioni: vi fu errore allora, non oggi. Accanto a ciò, occorre considerare che gran parte dei miglioramenti delle imprese, resi possibili anche dal forte rialzo ciclico, sono destinati a permanere al di là della congiuntura, essendo il frutto di investimenti e decisioni non reversibili. Nell’affrontare le correnti necessità di riequilibrio fiscale si parte, quindi, da una base strutturale più solida di quella di 12 anni fa, ai tempi dell’austerità pro-ciclica. Le spinte recessive si faranno naturalmente sentire, ancor più se le future regole di bilancio non terranno adeguatamente conto delle esigenze di sostegno delle economie, ma la situazione odierna si presenta diversa dal 2011.
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