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Il rebus della tassa sugli extraprofitti delle banche
La Ragioneria non quantifica il prelievo e che dunque non potrà essere usato a copertura della legge di bilancio. Ma c'è una via d'uscita
Giampaolo Galli 12/09/2023

Come ha spiegato Andrea Enria in un’intervista a Bloomberg, il prelievo preoccupa i regolatori perché indebolisce l’incentivo della banche a fare provisioning a fronte dei crescenti crediti in sofferenza, restringe il credito all’economia, alla lunga riduce la concorrenza perché disincentiva l’afflusso di capitali verso l’investimento nel settore bancario. Inoltre, notano alcuni esponenti della maggioranza, colpisce un settore che è cruciale per tenere in piedi lo Stato dato che una buona parte dei titoli del debito pubblico sono piazzati presso le banche. Infine, qualcuno ha cominciato a chiedersi che Stato è quello che ti tassa quando fai utili, ma non fa nulla quando gli utili si azzerano o diventano negativi come è accaduto nei lunghi anni dei tassi vicini a zero. Insomma, questa tassa è un autogol e una rilevante perdita per l’immagine internazionale dell’Italia. Forse per il governo l’unico modo onorevole di uscirne senza perdere la faccia è quello di renderla interamente deducibile in – diciamo – 5 anni. In questo caso la Ragioneria potrebbe contabilizzare un prestito forzoso che può rappresentare una valida copertura per provvedimenti che siano non solo un tantum, ma anche reversibili: ad esempio, un prestito a tasso zero a un ente locale in difficoltà (ad esempio in una zona alluvionata) da restituirsi nei prossimi 5 anni.
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