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Tim, incognite e ostacoli nel ritorno dello Stato azionista

Ma bisogna superare le resistenze di Vivendi, socio al 24%

Claudio Di Donato 08/09/2023

Tim, incognite e ostacoli nel ritorno dello Stato azionista   Tim, incognite e ostacoli nel ritorno dello Stato azionista E’ dal piano Rovati nel lontano 2006 che si cerca, senza successo, di correggere le storture della privatizzazione di Telecom Italia, culminate nell’opa dei capitani coraggiosi, fonte del mostruoso debito che condiziona da oltre 20 anni l’ex monopolista telefonico. Molti i protagonisti (governi e azionisti) e altrettanti i conflitti su due questioni: separazione della rete e presenza dello Stato. Ad appesantire il quadro, i continui passaggi del controllo di Tim con un cda orientato a tutelare l’interesse degli azionisti piuttosto che guardare al futuro dell’impresa. Ora è il turno del Governo Meloni che rompe gli indugi e affianca il fondo Usa KKR per la Netco con una quota fino al 20% e un esborso massimo di 2,2 miliardi. L’obiettivo è replicare lo schema delle utility a controllo pubblico, anche se il punto di partenza è completamente diverso. Nelle partecipate, lo Stato da azionista unico è progressivamente sceso rimanendo comunque il socio di riferimento. Nella rete Tim il socio di maggioranza, se l’operazione andrà a buon fine, sarà il fondo KKR e non è scontato che il nucleo MEF-Cdp possa andare oltre la minoranza di blocco quando gli americani venderanno la partecipazione.
 
Ma prima occorre superare le resistenze di Vivendi, primo azionista Tim con il 24%, che valuta la rete 31 miliardi. Numeri non realistici, ma potrebbe essere un azzardo andare alla conta in assemblea su una valutazione poco sopra i 20 miliardi. Molti ritengono che ai francesi non conviene lo scontro con il Governo ma anche il board di Vivendi deve rispondere ai propri azionisti che non sembrano disponibili a uscire dopo 9 anni con una perdita di oltre 3 miliardi su 4 investiti. Altro tema che agita politica e sindacati è l’assetto industriale. Lo scorporo della rete significa la fine dell’unitarietà di Tim e i prevedibili esuberi nel ramo commerciale. Ma il Governo ha fatto una scelta. E d’altronde tutela di un asset strategico e salvaguardia dei livelli occupazionali dell’ex monopolista erano obbiettivi incompatibili. E questa è l’unica certezza di una storia con il finale ancora da scrivere.
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