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La morsa doppia

Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani

Redazione InPiù 03/07/2025

In edicola In edicola Federico Fubini, Corriere della Sera
“L’Europa è stretta in una morsa fra gli Stati Uniti e la Cina, ma non sembra volerlo ammettere a sé stessa”. Così Federico Fubini sul Corriere della Sera parlando di ‘doppia morsa’. “L’assenza di qualunque sostanziale reazione allo scivolamento di questi mesi ed anni rischia di passare alla storia come un esempio da manuale di declino strategico; di preferenza da parte di ciascuno dei leader per la difesa (illusoria) del proprio orticello rispetto a una reazione collettiva efficace. Ai livelli attuali di circa il 15% in media, ipotizzando che i flussi del commercio si adeguino di conseguenza, nei prossimi dieci anni le tariffe produrrebbero circa 3.200 miliardi di dollari. Coprirebbero così i tagli alle tasse (in gran parte) agli americani più ricchi. Come tutte le proiezioni, anche queste vanno prese con un granello di sale. Ma si registra anche un raddoppio delle entrate doganali nella prima metà del 2025, rispetto a un anno prima. Non era difficile immaginarlo. Ma ciò che conta adesso è che Trump non vede ragioni di ammorbidire il suo approccio. Anzi. L’economia americana si è ripresa e oggi non rischia più una recessione, Wall Street è risalita grazie ai colossi tecnologici ed è ai massimi. Trump dunque affonderà i colpi sull’Europa, perché vede che essa «non ha le carte»—direbbe lui —per ribellarsi. Lo scenario migliore – osserva l’editorialista - prevede un dazio al 10% su tutto il nostro export, senza reazioni da parte nostra. Ma Trump intuirà rapidamente se può andare più in là. E ai piani alti di Bruxelles si percepisce paura e impotenza: sembra si sia concluso che oggi l’Europa non ha le risorse politiche, tecnologiche, militari e commerciali per affrontare uno scontro con gli Stati Uniti come invece ha fatto la Cina. Il quadro con quest’ultima non è molto diverso. L’export tedesco verso la Repubblica popolare per il secondo anno di seguito sta crollando ameno 12%, quello dell’Italia anche, mentre le vendite cinesi in Europa salgono di oltre il 6%. La Cina è sempre più forte nei settori un tempo dominati dall’Europa—auto, chimica, macchine utensili, robotica, presto anche aeronautica civile—, dunque ci sottrae quote di mercato nel mondo e non compra più i nostri prodotti. Invece l’Europa – conclude - è sempre più dipendente dalla Cina per i beni ad alta tecnologia, che dal 2017 abbiamo iniziato a comprare dalle sue fabbriche a ritmo crescente”.
 
Stefano Cappellini, la Repubblica
Stefano Cappellini su Repubblica parla di ‘inutile occupazione della cultura da parte della destra’: “Quando nel 1944 un giovanissimo Mario Castellacci compose ‘Le donne non ci vogliono più bene’, la canzone preferita dai reduci della Repubblica di Salò, non immaginava quanto quel motivetto vittimista avrebbe scolpito per decenni la mentalità della destra italiana, in generale e più ancora quando si parla di cultura. Se c’è un mondo dal quale più degli altri la destra ex missina si è sentita rifiutata è quello: la cultura. Se c’è un mondo che ha sempre sognato di espugnare è sempre quello: la cultura. Altri tempi. La storia di oggi – scrive Cappellini - è una destra che ha finalmente conquistato la casamatta nemica. Ministro della Cultura: Alessandro Giuli, il Gramsci nero, più raro del Gronchi rosa. Aveva cominciato la velleitaria operazione egemonia Gennaro Sangiuliano, predecessore di Giuli. Hanno occupato tutti i posti disponibili, tagliato e dirottato fondi, promesso azioni dirompenti in nome di una sofisticata analisi intellettuale: è finita la pacchia. Dunque basta registi ‘comunisti’, basta scrittori impegnati a sinistra, basta teatranti firmatari di appelli sui diritti civili. Lo hanno fatto probabilmente convinti che la Cultura funzionasse come le Poste ai tempi del ministro democristiano Remo Gaspari. Io ti assumo e tu mi voti. Io distribuisco e tu mi segui. Verificato che il mondo della Cultura è un po’ più complesso, e non perché sia una irriducibile riserva leninista, ma solo perché composto di mille mestieri e necessità, il Min.cul. è passato al piano B: distruggere tutto. Dopo gli inizi con toni più che concilianti, Giuli sembra animato da un cupio dissolvi: litiga dentro e fuori la maggioranza, chiede e ottiene dimissioni, infine diserta il premio Strega in un sussulto giovanile di autoghettizzazione. Il tutto mentre sulle macerie di un settore che avrebbe bisogno di nuove regole e certezze, non del diserbante, infuria la guerra tra il clan dei Fratelli e il clan leghista. Quanto al buon Castellacci – conclude l’editorialista - da grande si mise in sodalizio con Pierfrancesco Pingitore e fondò la più grande e tuttora insuperata impresa culturale della destra italiana del dopoguerra: il Bagaglino”.
 
Stefano Stefanini, La Stampa
“La telefonata Cremlino-Casa Bianca di ieri preoccupa molti, specie gli ucraini, ma non stupisce nessuno. Il filo diretto fra i due Presidenti è diventato una costante”. Stefano Stefanini sulla Stampa osserva come questo avvenga “sopra le nostre teste europee, e pazienza: dazi e soldi per la difesa a parte, Trump non ci vuole fra i piedi, che si parli di nucleare iraniano o di spingere Congo e Rwanda verso la pace – e lucrarne le risorse minerarie. Idem Putin, anche se si parla di Europa, peggio per noi. Sopra le teste ucraine, ed è inquietudine. L’ombra di quest’ultima telefonata, la sesta, si allunga sulle sorti Kiev. A due giorni dalla sospensione dell’invio di aiuti militari americani per sette milioni di dollari, non promette nulla di buono. E’ improbabile che Donald, alle prese con la stretta finale del passaggio in Congresso del suo maxi-bilancio ‘grande e bello’, e Vladimir abbiano avuto tempo e voglia di parlare di scambi commerciali – futuri. Infatti – scrive l’editorialista - è subito rispuntata l’Ucraina. E, dietro le quinte, uno scambio di ‘distrazioni’ strategiche: di Trump dalla guerra e dalle ambizioni territoriali di Putin in Europa, di Putin dalla guerra in Iran o ambizioni territoriali (Groenlandia, Canale di Panama) nell’Emisfero Occidentale di Trump. Scambio inconfessato ma i due guardano lontano. Per ora assolutamente in punta dei piedi. Putin non ha bisogno che Trump ‘svenda’ Kiev. Gli basta che continui a tenerla sulla corda dell’assistenza militare, a fornire a singhiozzo quella già promessa e a non metterne in cantiere di nuova. Come sta facendo. Dopo l’improvvisa sospensione senza spiegazioni di difese antiaeree e missili di precisione, Kiev resta nel dubbio di quando e quanto riprenderanno. Intanto la Russia sta spingendo sull’acceleratore militare sia nell’offensiva di terra che nei bombardamenti massicci su città e infrastrutture ucraine. Trump non sembra aver minimamente seguito la linea europea di Emmanuel Macron nella telefonata di due giorni fa’ al Presidente russo sul sostegno all’Ucraina. Il cessate il fuoco immediato, sua precedente richiesta, è passato in cavalleria. Il filo diretto Washington-Mosca serve anche a questo: a tagliar fuori, di comune accordo, gli europei. Si addensa così su Kiev – conclude - una perversa combinazione di pressione militare di Mosca, disinteresse strategico di Washington e insufficiente capacità di aiuti europei”.
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