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L'anomalia tutta italiana del governo dei giudici
Redazione InPiù 01/07/2025

Quando si materializza il governo dei giudici? Il caso dell’Italia è esemplare – afferma su Libero Mario Sechi - perché dal 1992 - anno d’apertura dell’inchiesta Mani Pulite - il cortocircuito tra politica e giustizia non è mai stato riparato. Fin dall’inizio della legislatura era chiaro che le alte (e basse) magistrature, il mandarinato dell’amministrazione dello Stato, i poteri irresponsabili non sottoposti alla sanzione del voto popolare, si sarebbero mossi contro una maggioranza “anomala” rispetto al passato, un governo nato da una chiara vittoria nel voto del 2022, un ritorno al limpido funzionamento della democrazia dopo oltre 12 anni di esecutivi tecnici e papocchi di Palazzo. Il governo Meloni ha chiuso un’era di traumi politici, la magistratura intende invece continuare a muoversi nello “stato d’eccezione”, ergersi al di sopra del Parlamento, del governo, de facto fuori dalla Costituzione. Si tratta appunto del fenomeno del “governo dei giudici” (titolo di un libro di Sabino Cassese di cui consiglio vivamente la lettura), una degenerazione del sistema istituzionale di cui l’Italia è un caso di scuola. La sortita della Cassazione sulla sicurezza e l’immigrazione fa parte di questa trama, è innescata da una visione del mondo opposta a quella maggioranza parlamentare e di segno contrario rispetto alla storia. Mentre in Europa i controlli ai confini e le espulsioni vengono rafforzati, i tribunali italiani si muovono come un contro-potere che cerca di cancellare il programma della maggioranza in nome di un “diritto” e di un primato della legge che in realtà è un’interpretazione che piega e indirizza le norme secondo gli scopi politici della magistratura. Le valutazioni della Cassazione sono «legittime», afferma la prima presidente Margherita Cassano, ma nel diritto c’è sempre il rovescio e basta un’analisi delle fonti citate e degli orientamenti per vedere il pregiudizio di un disegno politico.
Carlo Valentini, Italia Oggi
Dietro le quinte, come da millenaria tradizione, ma decisiva nella soluzione della crisi. Si è parlato di Qatar e di Kuwait ma è stata la Cina – sostiene Carlo Valentini su Italia Oggi – che ha evitato una dura reazione dell’Iran ai bombardamenti americani e quindi l’avvio di una guerra. Certo, la forza bellica dell’Iran è poca cosa in confronto alla potenza di fuoco Usa. Ma in grado di provocare danni, come hanno dimostrato i missili che sono riusciti ad evitare lo scudo protettivo d’Israele. Inoltre c’era l’opzione di chiudere lo stretto di Hormuz, che avrebbe provocato uno tsunami ai commerci e alle economie mondiali. Se Teheran ha scelto una risposta simbolica, il bombardamento in Kuwait di una base Usa quasi in disuso, informando preventivamente dell’attacco, non è stata solo una scelta dettata dalla consapevolezza della propria debolezza militare e del regime (ciò che ha permesso agli israeliani di costruire una rete di spie all’interno del Paese) ma soprattutto dal fiato sul collo della Cina, il Paese che con l’acquisto di petrolio e gas tiene in piedi l’economia iraniana e con essa Alì Khamenei e i pasdaran. Non è un caso che contemporaneamente agli sviluppi positivi della crisi si sia sbloccata la trattativa tra Cina e Usa sui dazi. E che Trump abbia cancellato (gesto eclatante) il suo divieto ai giovani cinesi di iscriversi alle università americane. Il presidente Usa aveva deciso il bombardamento dei siti nucleari iraniani (anche in questo caso con preavviso) per mettere al sicuro Israele ma voleva assolutamente evitare l’impopolarità del coinvolgimento in una lunga crisi militare, che avrebbe provocato, tra l’altro, una fiammata inflazionistica in grado di fargli perdere le importanti elezioni di mid-term. Di qui la convergenza con la Cina, che, per crescere, ha bisogno di stabilità geopolitica, e il credito che essa ha guadagnato e ha speso al tavolo della trattativa sui dazi. Al contrario di Trump, Xi Jinping è silenzioso e guarda ai fatti. Ha appena firmato accordi commerciali con la Corea del Sud, è in trattativa col Giappone, sostiene la Russia, si sta muovendo a grandi passi in Africa. A questa serie di successi della sua strategia internazionale ora può aggiungere il suo ruolo riservato ma determinante in Iran.
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