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Fontana: «Roma matrigna continua ad odiarci»

Antonio Rossitto, la Verità, lunedì 23 giugno

Redazione InPiù 28/06/2025

Fontana: «Roma matrigna continua ad odiarci» Fontana: «Roma matrigna continua ad odiarci» Roma resta sempre matrigna e continua ad ‘odiare’ il Nord. Così il governatore leghista della Lombardia, Attilio Fontana, in un’intervista ad Antonio Rossitto per La Verità del 23 giugno nella quale parla anche del ‘tramonto’ del terzo mandato: Fontana, la telenovela sul terzo mandato giunge ai titoli di coda. «C’era già arrivata prima. Non ci sono mai state le condizioni, mi sembra evidente». Accetta, ma non comprende. «Lo considero un errore. Si toglie la possibilità di giudicare una persona. Devono essere i cittadini a dire se ha fatto bene o male. Non esiste una ragione oggettiva per negare il terzo mandato. E poi, basta considerare il caso del presidente della Repubblica». In che senso? «Hanno deciso di superare il termine del settennato con la rielezione prima di Napolitano e poi di Mattarella. Non ci sono più limiti nemmeno per il Quirinale». L’ultima apertura è stata un bluff? «Non credo. Pensavano valesse la pena di ricominciare la discussione. Ma adesso il discorso mi pare chiuso». Forza Italia è contrarissima. «Non è una questione di volontà popolare. Anche Mussolini e Hitler hanno vinto le elezioni» dice Antonio Tajani. «Mi ha stupito. La discussione è più che legittima: si parla di temi istituzionali. Non ci si può incavolare così». L’ha presa male: «Non mi vendo per un piatto di lenticchie». Sarebbe la candidatura a sindaco di Milano. «Fingo di non aver inteso la metafora. Non sono lenticchie, ma il futuro del nostro Paese».  Nel capoluogo lombardo, i forzisti vorrebbero un civico e i meloniani un politico. Voi, invece? «Secondo il mio modestissimo parere, va indicato il miglior civico a disposizione. Non c’è ombra di dubbio». Perché? «L’anima della città è laica. I partiti non affascinano». C’è malcontento per l’amministrazione di Giuseppe Sala? «Soprattutto su alcune scelte: viabilità, urbanistica e sicurezza». La trama sembra ordita. Milano agli azzurri. Il Veneto rimane alla Lega. In cambio, dovreste cedere la Lombardia a Fratelli d’Italia, primo partito della coalizione. «Credo che valga un principio: la gente dev’essere convinta di chi vota. E noi sul territorio abbiamo più storia e maggiore riconoscibilità. Bisognerebbe trovare una persona che sia nel cuore dei lombardi e interpreti al meglio il loro sentimento». Lei non opporrà resistenza. «Se la legge vieta il terzo mandato, non posso ignorarla». E se, alla fine, si riaprisse uno spiraglio? «Mi rimetterei in gioco, allora. Sto facendo il governatore con grande passione ed entusiasmo. Perché dire di no?». Il suo successore, altrimenti, sarà un meloniano? «Mi auguro solo che venga apprezzato dai cittadini. Un conto sono le elezioni nazionali: anche il cavallo di Caligola può diventare senatore. Il discorso è diverso per le scelte sul territorio: gli elettori sono più intelligenti di quello che molti politici pensano. Devono essere convinti della persona che scelgono». Pare che soltanto una cosa potrebbe far cambiare idea a Tajani sul terzo mandato: ottenere lo ius soli. «Un motivo giusto non può mai legittimare una scelta sbagliata». I lumbard si solleverebbero? «Perfino l’esito del referendum ha lanciato un messaggio molto chiaro: gli italiani non vogliono che vengano modificate le regole sulla cittadinanza. Non c’è nessun motivo per cambiare la legge attuale». Matteo Salvini ha abbozzato. Non smaniava per la deroga, si vocifera. «Mi sembra un’interpretazione di parte. Ha sempre ribadito pubblicamente il suo sostegno».
 
L’emendamento non era stato nemmeno scritto. «Quello si prepara in due minuti». I suoi colleghi leghisti sono amareggiati. «Perdere sia Zaia che Fedriga, visto il consenso che hanno, è davvero una follia». Gli alleati potrebbero opporsi alla lista del governatore veneto. «Mi pare una cosa assurda, fuori da ogni logica democratica. Se il popolo veneto vuole votarla, si deve poter presentare». Malignano: Salvini soffre il protagonismo di Zaia. «È una malignità, appunto. Si sono sempre stimati». Nella Lega nazionale avanzano le nuove leve: dal generale Vannacci all’ex forzista Sardone, appena eletti vicesegretari. «I principi fondanti non vengono disconosciuti. Nel nostro congresso sono stati ribaditi e sostenuti con determinazione. Anche loro devono tutelarli, quindi». Gli ortodossi lamentano scarsa attenzione per i territori. «Va messo all’ordine del giorno il tema del Nord. È una grandissima forza propulsiva. È ancora capace di trascinare il resto del Paese, ma ha dei problemi che ora vanno affrontati. Non si può togliere vigore a chi ha dato energia all’Italia». Il nuovo vessillo del Carroccio è il Ponte sullo Stretto? «Non ho nulla in contrario. Però facciamo i ponti pure in Lombardia. Risolviamo i problemi immediati, che rallentano la quotidianità e l’economia. I lavori per il Ponte sullo Stretto stanno per partire, ma i tempi saranno necessariamente lunghi. Poter attraversare il Po è una necessità attualissima». Da Pontida a Villa San Giovanni. Cosa direbbe Umberto Bossi? «Lui, certo, vorrebbe Pontida sempre al centro. Come tutti noi, del resto. Suggerisco di cambiare il moto a luogo con una congiunzione: Pontida e Villa San Giovanni». Anche lei ha nostalgia delle origini? «Bisogna soltanto ribadire i nostri valori. Sono ancora il fondamento della Lega. Nessuno li ha messi da parte. Nessuno ritiene che siano stati sostituiti. O, perlomeno, nessuno ce l’ha comunicato ufficialmente». Rinfreschiamo la memoria. «Spinta autonomista, efficienza amministrativa, lotta alla burocrazia, tutela dei territori, rapporto diretto con i cittadini…». C’è vita fuori dal Pirellone. «C’è la vita reale: quella che conta davvero. Ben diversa da ciò che si vede nei palazzi romani e nelle feste della capitale. Se ci fosse solo quella non saremmo messi male, ma malissimo». «Maimulà, tégn dur» incitava il Senatur. «La vera vita è di quelli che tirano la  carretta tutti i giorni. Con gli interessi e gli intrallazzi non andiamo da nessuna parte. Deve essere esportato il modello lombardo, non il contrario». Roma non vi ama. «Ne sono convinto. Quando queste cose le raccontava Bossi, io gli credevo. Ma lo facevo più per fede, che per altro. Adesso che le vivo quotidianamente, sono più convinto di lui. Anzi, forse l’Umberto era un po’ troppo morbido». «Roma ladrona». «Una vecchia semplificazione giornalistica».
 
Attualizziamola, allora. «Roma matrigna».  Perché vi avversa? «Per invidia. Noi lombardi dimostriamo ogni giorno che il Paese può funzionare in modo diverso. Gli mettiamo sotto il naso la nostra efficienza. Questo dà fastidio. Li fa imbestialire». Addirittura. «Ci odiano perché siamo schietti. E le cose gliele diciamo in faccia». Il ministero della Salute ha declassato la vostra Sanità. «Non il ministero, ma un direttore generale. E il motivo fa sorridere». Quale sarebbe? «Lo scorso anno abbiamo ricoverato in ospedale 1.400 bambini per una particolare malattia. Secondo quel signore, invece, potevamo anche curarli a casa». Dunque? «A parte che non può essere un dirigente a giudicare la nostra scelta, la cosa che mi fa davvero imbestialire è un’altra: siamo una delle due regioni d’Italia ad avere il bilancio della sanità in equilibrio. Possiamo decidere come investire i soldi nell’interesse dei bambini o prima dobbiamo chiedere il permesso a un burocrate?». Conferma la sua teoria? «Certo. Dimostra quanto Roma ci detesta. Hanno pure scritto in un documento che creiamo disequilibrio perché troppe persone vengono a curarsi in Lombardia». Li chiamano «viaggi della speranza». «Fino a quando non ci sarà una legge che lo vieterà, saremo felici di offrire agli italiani le cure migliori. E potrei continuare con gli esempi: vogliamo parlare di come ci ostacolano sul federalismo fiscale?». Basta così. Agatha Christie assicurava: «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova». «Appunto. Mi dica lei se non stiamo sulle balle a Roma». L’autonomia, in Parlamento, arranca. «Abbiamo ricevuto le proposte: alcune erano condivisibili, altre meno». Finirà come col terzo mandato? «L’autonomia deve andare avanti. Non ci sono dubbi. È nel programma di governo. Dobbiamo discutere del quantum: può essere tanto, poco o inesistente». Quindi? «Bisogna renderlo sostanzioso». Pure Bruxelles vi sta sugli zebedei: l’industria automobilistica lombarda rischia di venire travolta dalla messa al bando dei motori termici. «Siamo promotori di un’alleanza tra le regioni europee colpite da queste norme assurde. Bruxelles deve rendersi conto del disastro economico e sociale che sta provocando, in cambio di un inesistente beneficio ambientale». Mentre cinge l’assedio, s’ode la sua invocazione: la Lombardia resti leghista. «Superior stabat Lega, inferior tutti gli altri». Ossia? «I nostri valori rimangono insopprimibili». Si avvicina alla metà del secondo mandato. Il terzo pare sfumato. Cosa farà dopo? «Vedremo se qualcuno mi riterrà ancora utile. Non voglio finire in paradiso a dispetto dei santi». Roma è matrigna, ma può essere irresistibile. «Valuterei con una certa attenzione. Se bisogna solo partecipare al teatrino della politica, come lo chiamava Bossi, meglio andare in vacanza con la moglie».
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