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Fareed Zakaria: «La linea di Trump sulla guerra è tenersi aperta ogni opzione»

Paolo Valentino, Corriere della Sera, 19 giugno 2025

Redazione InPiù 21/06/2025

Fareed Zakaria: «La linea di Trump sulla guerra è tenersi aperta ogni opzione» Fareed Zakaria: «La linea di Trump sulla guerra è tenersi aperta ogni opzione» «Non direi che Trump sia in difficoltà a causa della guerra di Netanyahu contro l’Iran», spiega Fareed Zakaria, analista della Cnn e uno dei più autorevoli esperti americani di politica estera, intervistato da Paolo Valentino sul Corriere della Sera del 19 giugno. Ma ormai sembra deciso a entrare in guerra, anche scontando le riserve del popolo MAGA e di una parte dei suoi consiglieri. «A me sembra che l’atteggiamento di Trump in questa situazione sia di tenersi ogni opzione aperta. Ha aspettato di vedere come sarebbe andata l’azione israeliana. Non l’ha ostacolata e quando ha visto che ha avuto successo anche oltre le aspettative, vuole metterci il cappello sopra e prendersi un po’ se non tutto il merito. Come sempre avviene nelle operazioni militari, il successo aumenta le ambizioni e amplia gli obiettivi, è quanto sta accadendo. Ancora non è del tutto chiaro se autorizzerà o meno la partecipazione americani con l’impiego dei bombardieri B2 e questo dipenderà sfortunatamente soltanto da lui. Dico sfortunatamente perché sono molto preoccupato dal modo in cui attualmente vengono prese le decisioni militari e politiche negli Stati Uniti: tutto dipende da un uomo solo, totalmente imprevedibile. Vede, Trump non è liberal, né ideologo neo-con, tantomeno realista. È trumpiano». Il regime iraniano è sul punto di implodere? «È fragile. Decenni di sanzioni e corruzione hanno rovinato l’economia. È impopolare. Ma finora è riuscito a sopravvivere, grazie a modi piuttosto abili. C’è in primo luogo una componente ideologica, l’islam politico, che fa presa su una parte della popolazione, specie sui ceti popolari. Il regime usa il clientelismo in modo efficace e sa essere molto brutale. Non ci sono vere figure leader dell’opposizione, non c’è una ribellione. Forse succederà, ma un crollo improvviso mi sembra improbabile». Dopo Gaza, Libano, Siria e gli Houti, l’attacco contro l’Iran conferma la volontà di Netanyahu di ridisegnare l’intera mappa del Medio Oriente. Sembra che il premier israeliano faccia sua l’agenda dei neo-con americani. Trump condivide questa visione? «Il paragone è interessante. Ma c’è una differenza fondamentale. I neo-con si illudevano di portare libertà e democrazia nel Medio Oriente. L’idea era che, se i Paesi arabi fossero diventati società aperte e democratiche avrebbero disinnescato la minaccia del terrorismo e del fondamentalismo islamico. Quella di Netanyahu invece è una visione di potere: Israele oggi è la nazione più forte della regione, militarmente, tecnologicamente ed economicamente, e quindi possiamo dominarla. Non tollereremo più che l’Iran fomenti instabilità, con il suo programma nucleare o attraverso i proxy come Hezbollah, Houti o Hamas. A Trump questa strategia piace, perché vede l’intero Medio Oriente attraverso due soli prismi: Israele e le monarchie del Golfo. Non gli interessa nulla se l’Iran, la Siria o l’Iraq sono democratici, vuole una regione dominata da questi due gruppi». Nessun ruolo per la Turchia? «La Turchia è il neo del ragionamento. Ankara avrà un ruolo e sarà questa dinamica a tre a decidere le sorti del nuovo Medio Oriente. In Siria, per esempio, Israele e Turchia hanno interessi opposti». La prima cosa che Trump ha detto appena arrivato al G7 in Canada è stato lamentarsi che nel 2014 la Russia sia stata esclusa dal G8, sostenendo che dovrebbe essere riammessa. C’erano altri temi importanti nell’agenda: l’Iran, i dazi, l’Ucraina. Perché questa ossessione con Putin? «Nelle sue memorie il generale McMaster, che fu consigliere di Trump per la Sicurezza nazionale, scrive che dopo aver lavorato ogni giorno al suo fianco per un anno, la sola cosa che non ha mai capito era cosa legasse Trump in modo così forte a Putin. È un vero mistero, ma io sono convinto che non sia una questione di prove o documenti compromettenti su Trump in mano al leader russo. Penso piuttosto che il presidente sia una creatura della Guerra Fredda, ha 79 anni, e veda Mosca come una capitale potente, la Russia come un grande impero con cui fare accordi, come Nixon con Breznev o Reagan con Gorbaciov. La verità è che la Russia è un Paese in declino, disfunzionale, economicamente marginale anche se ancora con un forte potere militare. Tra dieci anni anche la Polonia avrà un’economia più grande della Russia. Ma Trump è ossessionato dall’idea di ricreare una grande relazione bilaterale tra Mosca e Washington». Lo pensa in funzione anticinese? «Neppure quello. Tutte le concessioni che ha fatto a Mosca sull’Ucraina le ha fatte senza chiedere nulla in cambio. Ha solo accettato le richieste di Putin, prima che iniziasse il negoziato. È un problema serio per l’alleanza occidentale. La scorsa settimana quando gli hanno chiesto se fosse pronto a varare nuove sanzioni contro la Russia, ha risposto che potrebbe metterle sia contro Mosca che contro l’Ucraina». Le proteste in California e la reazione di Trump, che ha mobilitato la Guardia Nazionale e inviato i marines, hanno di nuovo sollevato il sospetto di una sua vocazione autoritaria. È d’accordo? «Trump non è un leader autoritario consapevole. Voglio dire che non ha un piano per distruggere la democrazia americana. I democratici progressisti che usano parole come fascista o golpista cadono nella sua trappola. Direi che invece è un “autoritario incosciente”. Vuole fare certe cose ed è del tutto incurante del rispetto di norme, regole o perfino leggi che possano intralciarlo. Sicuramente ha una mentalità autoritaria. Alla fine, nel primo mandato, quando voleva rovesciare l’esito del voto, ha rispettato le decisioni delle corti sia pure controvoglia. Questa volta è peggio, dice che non rispetterà le decisioni dei giudici, anche se alla fine quando la Corte suprema gli ha detto di rimpatriare la persona deportata ingiustamente in Salvador lo ha fatto. Trump pensa che il potere esecutivo sia tutto, trascura norme, usi e convenzioni della democrazia liberale anche facendo cose illegali. Ha normalizzato la corruzione, monetizza a suo favore tutto, senza alcun imbarazzo. Più che a Putin assomiglia a Orbán, il premier ungherese che ha usato mezzi democratici per minare la democrazia. Più che autoritarismo è democrazia illiberale, visto che sono stati eletti. Ed è una sfida ancora più difficile. Come si fa per esempio a legiferare per impedire che gli investitori esteri siano in realtà finanziatori della first family, cioè dei parenti di Trump? Io non ho una risposta, ma non c’è dubbio che il danno alla democrazia americana sia enorme».
 
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