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La morsa doppia
Ma il paese pensa ai giovani?
Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani
Redazione InPiù 18/06/2025

“I giovani italiani che ogni anno si spostano all’estero, per continuare gli studi o per cercare lavoro in un altro Paese, erano 21 mila nel 2010, sono stati oltre 91.400 lo scorso anno”. Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera parla del tema dei bassi salari e spiega: “Non lasciano l’Italia perché non trovano lavoro, lavori se ne trovano, parecchi, ma sono lavori sempre più poveri. Tanti giovani emigrano alla ricerca, innanzitutto, di salari migliori. Non a caso l’emigrazione dei giovani ha accelerato dopo l’episodio di inflazione accesa dall’invasione russa dell’Ucraina nel 2022: in molti settori il potere d’acquisto dei salari non ha ancora ripreso quanto perso in quel breve periodo. Nello scorso triennio, 2022-24, le retribuzioni lorde nella fascia d’età 25-30 sono scese, al netto dell’inflazione e rispetto al decennio 2014-24, del 3,5%. Nella fascia 31-40 del 5%. Non è un problema solo dei giovani, loro almeno possono scegliere di emigrare. Il problema di retribuzioni più basse che nel resto d’Europa non è nemmeno una novità degli ultimi tre anni, né è un problema che riguarda solo alcuni settori. L’incapacità dei salari di tenere il passo con l’inflazione – sottolinea l’editorialista - dipende in gran parte da come funzionano i nostri contratti di lavoro. L’Italia è fatta di micro-imprese, oltre 4milioni di aziende hanno meno di 10 addetti. Nessuna di queste imprese può permettersi un contratto aziendale di secondo livello, per sua natura più flessibile: per loro esiste solo il contratto collettivo nazionale di settore. I contratti nazionali sono negoziati, per il settore privato fra Confindustria e sindacato, per il settore pubblico fra sindacato e Aran, un’Agenzia dello Stato. Il problema è che questi contratti non vengono mai rinnovati a scadenza, o vicino alla loro scadenza. Questi ritardi hanno due spiegazioni: per i contratti pubblici l’incentivo dei governi a rimandare i rinnovi e così alleggerire, almeno temporaneamente, la spesa pubblica. Per i privati abbassare, anche qui temporaneamente, ma due anni non sono pochi, il posto del lavoro sperando che il nuovo contratto non riesca a compensare, almeno non del tutto, i lavoratori. Anziché applaudire la crescita dell’occupazione il governo dovrebbe chiedersi se occupazione povera aiuta la produttività del Paese e la formazione di un capitale umano che poi alla prima occasione non emigri”.
Andrea Bonanni, la Repubblica
Andrea Bonanni su Repubblica parla dell’irrilevanza europea nello scacchiere geopolitico mondiale: “Al ritorno dal G7 in Canada dopo ore di colloqui e di bilaterali con Trump – scrive l’editorialista - i capi di governo europei sono tornati a casa ognuno con una convinzione diversa su quali fossero le intenzioni della prima potenza mondiale in merito al conflitto tra Israele e Iran. Questa volta, forse, e fino alla prossima piroetta di Trump, è stato Merz ad azzeccare la risposta giusta. Che però agli europei non piace per niente. E infatti, mentre a Berlino il cancelliere veniva criticato per non aver preso le distanze dal presidente americano, a Bruxelles si è cercato di correre ai ripari mettendo in guardia contro la tentazione di abbattere il regime iraniano dall’esterno, a colpi di bombe sganciate sulla popolazione civile. Il problema è che un G7 così fallimentare non distrugge l’Occidente: lo ridicolizza, che è anche peggio. Forse è proprio questo l’obiettivo di Trump. Sicuramente lo è di Putin. Gli europei ne sono usciti con le ossa rotte. Umiliati e ridotti a fare da cortigiani-spettatori delle bizzarrie di un sovrano narcisista e imprevedibile, che ha lasciato anticipatamente la festa per non incontrare Zelensky e non mandare aiuti all’Ucraina. Proprio come Putin avrebbe desiderato. L’unica nota positiva in questo panorama desolante – sottolinea - è che dopo la mortificante esperienza del G7 canadese gli europei, a parte Giorgia Meloni, sembrano finalmente aver imparato la lezione. Il fatto che Bruxelles si sia consultata con le tre capitali che contano, nonostante Londra non faccia neppure parte della Ue, per prendere le distanze dagli Stati Uniti prima ancora che da Israele, lascia intendere che le residue illusioni su Trump stanno cadendo una dopo l’altra. Il presidente americano, ancora una volta, non si è comportato né come un amico né come un alleato dell’Europa. Si è rivelato più vicino a Mosca che a Bruxelles cercando perfino di ritagliare per Putin un ruolo di mediatore nella crisi iraniana, ignorando le invocazioni di aiuto dell’Ucraina sempre più sotto attacco, rimpiangendo l’assenza della Russia dal tavolo che avrebbe dovuto sanzionarla. Si spera che al prossimo, imminente vertice della Nato non si faranno cogliere nuovamente impreparati, né si lasceranno bistrattare per compiacere l’ego smisurato del presidente americano”.
Alessandro Arduino, La Stampa
“Mentre le forze israeliane intensificano i raid aerei sull’Iran e Teheran risponde con lanci di missili balistici e droni, sul fronte diplomatico si registra un insolito fermento”. Così Alessandro Arduino sulla Stampa riferendosi in particolare a Russia e Cina: “Pechino – spiega l’editorialista - vede la propria diplomazia nel Medio Oriente sempre più in ombra. L’Iran, cardine della Belt and Road e fornitore energetico vitale, rimane isolato dall’assenza di un vero sostegno da parte di Pechino. Sul breve periodo la Russia beneficia invece dell’impennata dei prezzi del petrolio e di un’attenzione occidentale distratta da Teheran anziché da Kiev, ma sul lungo termine rischia di perdere un importante snodo logistico e geopolitico non solo per le ambizioni nella regione ma anche per la logistica militare verso l’Africa. L’eventualità di un conflitto prolungato mette a rischio per la Cina le forniture energetiche da Iran e Iraq e mina i mega-progetti infrastrutturali del partenariato strategico con l’Iran. L’influenza di Pechino in Israele è ai minimi storici dal 7 ottobre 2023, e in Iran cresce il disappunto, soprattutto tra i giovani, per un sostegno che resta solo di facciata. E se la delusione verso la Cina è palpabile, non mancano nemmeno le critiche a Mosca: in molti contestano a Teheran di supportare con forniture militari l’offensiva russa in Ucraina senza ottenere nulla in cambio. Inoltre, la credibilità di Pechino come alternativa alla diplomazia occidentale vacilla soprattutto nei Paesi del Sud Globale. Sebbene la Cina abbia sempre promosso uno sviluppo economico come chiave per la stabilità mediorientale, questa retorica fatica a imporsi in un contesto dominato dalla logica della forza. La crisi iraniana si traduce oggi in una ridotta capacità di influire, o anche solo di reagire efficacemente, alle turbolenze di una regione un tempo pilastro dell’espansione globale della iniziativa Belt and Road. Nel contempo, concentrata sul fronte ucraino, Mosca beneficia nel breve periodo dello spostamento dell’attenzione statunitense verso il Medio Oriente, che lascia sempre più isolata l’Ucraina. Sul lungo termine però – conclude Arduino - la perdita di influenza in Siria e il progressivo allontanamento dall’Iran erodono le ambizioni geopolitiche russe nella regione, privando Mosca di un prezioso trampolino geopolitico”.
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