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L'Occidente torna a dare le carte
Redazione InPiù 18/06/2025

La Gran Bretagna a guida laburista – osserva Luca Diotallevi sul Messaggero – sta prendendo molto sul serio l’urgenza di aggiornare la propria capacità militare, nucleare incluso. La Germania del democristiano Merz si è proposta di costruire il più potente esercito dell’Europa continentale centro-occidentale e la commissione Ue della democristiana von der Leyen ha finalmente (ri)aperto la strada alla realizzazione di una seria capacità difensiva della Unione Europea. Il Giappone continua con decisione sulla via già intrapresa qualche anno fa con la modifica della propria Costituzione e l’avvio di un serio programma di riarmo. L’Australia sta facendo altrettanto. Persino in Italia si sta cominciando a parlare seriamente di un 5% di Pil speso in difesa (il che significa in difesa delle nostre vite e dei nostri diritti) ed in un contesto Europeo. Cosa tutta questa mobilitazione significhi lo hanno spiegato bene gli ucraini e gli israeliani. I primi hanno distrutto il 34% della flotta putiniana di bombardieri strategici (la quota è ancora più alta se si considerano i soli velivoli russi effettivamente in grado di volare). I secondi hanno attaccato a fondo l’arsenale nucleare militare iraniano, ormai denunciato anche dall’Onu. Il significato di questi atti è chiaro. Ucraini e israeliani hanno realizzato che i tentativi diplomatici messi in atto dagli statunitensi non erano in grado di garantire quanto promesso. Intanto la Cina vince round dopo round della «guerra dei dazi» con gli Usa. In breve, a livello globale l’Occidente non è affatto svanito. Si sta riorganizzando; non senza l’America – sarebbe folle –, ma facendo realisticamente i conti con l’America: con quanto non garantisce più, con quanto garantisce ancora, con quanto promette e anche con quanto è effettivamente in grado di mantenere. Il che non esclude affatto che alcuni tentativi di riorganizzazione siano inefficaci o inaccettabili, come nel caso della mancanza di proporzionalità nella azione di Israele a Gaza.
Mario Sechi, Libero
Donald Trump ha chiesto la resa incondizionata dell’Iran, siamo di fronte a un altro balzo della storia, commenta su Libero Mario Sechi. Di dritto e di rovescio è finita l’era in cui gli Stati Uniti appoggiavano Israele ma cercavano una mediazione con il regime teocratico di Teheran. I grandi errori del passato (a cominciare da quelli di Obama) sono venuti al pettine della storia. Trump è imprevedibile, ma è chiaro che la postura dell’America in Medioriente è cambiata, segue il filo logico degli Accordi di Abramo, cerca la stabilità nel Golfo, ha un legame diretto con l’Arabia Saudita e vede nel cambio di regime in Iran un’opportunità per stabilizzare la regione e avviare un’altra era. Tutto questo non sarebbe stato possibile senza la leadership di Benjamin Netanyahu, leader di guerra, dato per finito tante volte e oggi comandante in capo di una forza di cambiamento storica. Da tempo mi chiedevo quanto sarebbe durata la teocrazia iraniana e quando sarebbe stato sferrato l’attacco. La strage degli ebrei del 7 ottobre 2023 ha innescato il Big Bang, indietro non si torna, Khamenei è già il passato, l’ombra di un assassino, la sinistra presenza dello sterminio. Non la preghiera, ma la sua mano che accarezza il fucile, questa è l’immagine della sua eredità. Gaza, Beirut, Damasco, Sana’a, Teheran, sono i pezzi sulla scacchiera che sono caduti per mano di Israele. Il cancelliere tedesco Merz ieri ha detto la verità, ha affermato che Israele ha fatto il lavoro che avrebbe dovuto caricarsi sulle spalle l’intero Occidente. È un passo avanti ma non basta, perché in Canada abbiamo visto un G7 che insegue la storia e non la fa, chiede una descalation che non è possibile nel momento in cui c’è la possibilità di abbattere un regime che sognava un nuovo Olocausto, la fine degli ebrei e di tutti gli “infedeli”.
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