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Potenze vere e presunte
Redazione InPiù 16/06/2025

Alessandro Sallusti sul Giornale traccia un parallelo ‘militare’ tra Russia e Israele: “La mattina del 24 febbraio 2022, Vladimir Putin iniziava l’invasione dell’Ucraina annunciata come «operazione speciale di polizia», che in pochissimo tempo avrebbe portato al raggiungimento degli obiettivi militari, di fatto la conquista di tutta o buona parte del Paese. Oltre tre anni dopo, l’Armata rossa - sulla carta uno degli eserciti più potenti del mondo - controlla solo il 18 per cento del territorio ucraino, dopo aver lasciato sul campo oltre centomila soldati tra morti e feriti. Zelensky è saldamente in sella e la guerra è ben lungi dal finire con una vittoria sul campo. Veniamo a quest’anno: nella notte tra il 13 e il 14 giugno Israele dichiara guerra all’Iran. Dopo quattro giorni – osserva Sallusti - già si parla di capitolazione del regime degli ayatollah, che sarebbe disposto a trattare le condizioni imposte dagli israeliani. Non dico che le due cose siano paragonabili, ma certo fa impressione constatare come una presunta grande potenza, la Russia, non riesca a piegare una nazione ben più piccola di lei, mentre il piccolissimo Stato di Israele sta mettendo in ginocchio in poche ore il gigante del Medio Oriente. Una cosa però accomuna le due drammatiche vicende: al fianco sia dell’Ucraina sia di Israele c’è compatto il blocco occidentale - America in testa -, che evidentemente può vantare ancora una superiorità militare e tecnologica, con la quale non è facile fare i conti per chicchessia. Se qualcuno pensava che l’Occidente fosse sul punto di tracollare e diventare terreno di facili conquiste, evidentemente si sbagliava e non di poco. Semmai si sta dimostrando l’inverso: il gigante era certo un po’ addormentato ma non aveva i piedi di argilla e risvegliarlo non è stata una buona idea per chi lo ha fatto. Con la strage del 7 ottobre in Israele, l’estremismo islamico ha firmato la sua condanna a morte, di cui oggi vediamo gli effetti in Iran; con l’invasione dell’Ucraina, Putin ha portato la Nato a compattarsi e l’Europa a riarmarsi come in pochi avevano pensato, oltre a spingere definitivamente l’Ucraina nella sfera di interesse occidentale. Poi – conclude - sul campo le guerre andranno come andranno, ma il risultato geopolitico per Russia e Iran è già oggi una sconfitta che peserà per sempre nella loro storia”.
Carlo Valentini, Italia Oggi
Secondo Carlo Valentini, editorialista di Italia Oggi, nel post referendum il Pd deve decidere chi sarà il suo leader: “Il dibattito sul risultato referendario – scrive Valentini - ha presto abbandonato la questione del quorum. Da un lato essa è stata by-passata con un sospiro di sollievo per la scarsa partecipazione (e dopo qualche polemica) dagli oppositori del referendum e dall’altro lato dalla singolare ammissione dei suoi proponenti che vi era la certezza che il traguardo non sarebbe stato raggiunto (allora perché impegnarsi in questa costosa mobilitazione?). L’interesse si è quindi spostato sul numero di coloro che si sono recati alle urne e se questi voti possano essere ascritti alla costruzione di quell’alternativa di governo su cui è impegnato in primo luogo il Pd. Ma la faccenda è fuorviante poiché il vero problema che l’alleanza Pd-M5s o il campo largo debbono risolvere è quello della leadership, senza la quale nel 2027 non ci sarà gara. Il centrodestra si presenterà unito, pur nelle diversità che lo caratterizzano, e con una guida forte e autorevole, quella di Giorgia Meloni. Mentre il centro sinistra sta faticando (anche perché non ha il collante del governo e quindi del potere) a superare le divisioni e non si intravede, con buona pace dei segretari dei vari partiti, un leader in grado di proporsi come punto di equilibrio della coalizione e allo stesso tempo capace di guidare una compagine governativa con l’indispensabile autorevolezza. In politica – osserva Valentini - l’autoreferenzialità è la regola, però bisogna poi fare i conti col giudizio degli elettori. La conduzione di un partito e cosa assai diversa da quella di un Paese e ciò vale aldilà del colore politico. In campagna elettorale la richiesta del voto è accompagnata da un programma, una coalizione che promette di attuarlo, un condottiero che la guida con una buona dose di credibilità. Se manca anche solo uno di questi ingredienti, il piatto non è commestibile. Poiché è nell’interesse del Paese, e della sua democrazia, che nel 2027 non si vada a un plebiscito ma a un confronto di idee e di proposte, è essenziale che il centrosinistra riempia la casella, identificando il proprio leader. All’appuntamento elettorale mancano solo due anni e una leadership appropriata non si introduce all’ultimo minuto”.
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