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La morsa doppia
La nostra classe dirigente
Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani
Redazione InPiù 12/06/2025

“«La destra ha un problema: non ha una classe dirigente»: da anni capita di ascoltare assai spesso queste parole, perlopiù dette con un tono d’implicita rampogna. È tutto sommato vero”. Lo scrive Ernesto Galli Della Loggia sul Corriere della Sera: “La destra – sottolinea l’editorialista - manca di una classe dirigente (o perlomeno ne dispone in misura assai minore rispetto alla sinistra). Manca di una classe dirigente specialmente se s’intende con questa espressione da un lato l’insieme dell’alta dirigenza dello Stato, delle magistrature e della sfera pubblica e parapubblica, e dall’altro la capacità di presenza sulla scena mediatica, culturale e accademica del Paese, tra le voci più significative o ascoltate della società civile. C’è da chiedersi però se una tale situazione più che un deficit della destra, di certo esistente, non sia soprattutto la spia di qualcosa d’altro. E cioè innanzi tutto del fatto che in realtà in Italia una vera classe dirigente non esiste. Infatti, in un Paese che ancora oggi stenta ad avere valori comuni e una larga memoria condivisa, nel quale non è affatto scontata l’idea che esistono «interessi nazionali», cioè riguardanti tutti, in un Paese come il nostro dove l’appartenenza politico-ideologica è ancora così rilevante per definire l’identità individuale, e nel quale la politica ha ancora e sempre un potere così vasto nel disporre di risorse, di impieghi e di carriere, in un simile Paese la possibilità che vi sia una vera classe dirigente è davvero assai scarsa. Non è certo questa, però – osserva l’editorialista - la condizione dell’Italia. In ben 80 anni — un periodo di tempo all’incirca eguale a quello intercorso tra la nascita dello Stato nazionale e la fine della Seconda guerra mondiale! — la Repubblica democratica, infatti, non è riuscita a sciogliere i nodi storici che la videro nascere. Il nostro resta «un passato che non passa», pronto in ogni momento a dividerci frontalmente, così come sono ancora assai forti tra noi culture politiche che considerano gli interessi nazionali una sorta di truffa per gonzi; e infine, su questa scena dominata dalle fratture, la politica domina ancora largamente su tutto: condiziona, indirizza, decide, quasi sempre imponendo ancora il criterio della parte, della propria parte, su qualsiasi altro. Se dunque è vero che la destra non dispone di un’adeguata classe dirigente - conclude - le cause certamente non vanno cercate solo in casa sua”.
Luigi Manconi, la Repubblica
“Quanto ha rivelato l’esito del referendum sulla cittadinanza non ha in realtà nulla di sorprendente”. Così Luigi Manconi su Repubblica a proposito del fallimento del referendum sulla cittadinanza: “Che poi la totalità degli osservatori e degli analisti (e io tra questi) non l’avesse previsto – sottolinea - rimanda alla responsabilità dell’Ottuso collettivo, per il quale non c’è attenuante alcuna. Dunque siamo in presenza, più che di una semplice sconfitta, di una disfatta politica e culturale. La competizione — vera o presunta — per il posto di lavoro sembra rimanere il principale fattore di inquietudine per strati popolari stressati e smarriti, minacciati dal lavoro povero e dalle politiche di ristrutturazione e delocalizzazione delle aziende. A fronte di ciò, il compito che spetta ai sindacati appare gigantesco ma ineludibile; e richiede, tra l’altro, l’integrazione nelle strutture sindacali di base, e anche tra i quadri intermedi e nei gruppi dirigenti centrali, di lavoratori stranieri regolari (pur se privi di cittadinanza) come essenziale strumento di accelerazione dei processi di regolarizzazione di quelli tuttora non regolari. Un’impresa assai ardua – prosegue Manconi - eppure incentivata da una congiuntura economica che sollecita una consistente domanda di lavoro e una costante richiesta di manodopera. Questo processo, inevitabilmente lungo e faticoso e non privo di conflitti e di fratture, subirà ora un ulteriore rallentamento. Ma l’errore più grave sarebbe quello di classificare alla voce ‘razzismo’ l’orientamento degli italiani, tra quanti non hanno partecipato al voto e quanti hanno detto no al dimezzamento dei tempi per la domanda di cittadinanza. Sia chiaro: il razzismo, quale volontà di discriminazione su base etnica, esiste in Italia così come in tutti i Paesi democratici, ma riguarda solo una parte ridotta della popolazione e delle sue rappresentanze politiche. Qui si deve parlare, piuttosto, di xenofobia e di ciò che il termine esprime nella sua radice etimologica: paura dello straniero e, più in generale, dell’insolito. Si tratta di un sentimento profondamente umano che si ritrova in misura variabile all’interno di tutte le comunità e di tutte le aggregazioni sociali”.
Montesquieu, la Stampa
L’editorialista che si firma Montesquieu sulla Stampa parla della leadership di Meloni e di una opposizione inidonea in vista della campagna elettorale del 2027. “Quasi inavvertitamente – scrive - ci troviamo proiettati da una legislatura ancora in potenziale sviluppo dentro la campagna elettorale del 2027, se non prima. Questa campagna elettorale, seppur incipiente, sembra già appannaggio della figura dominante di Meloni, in virtù di una personalità di leader indiscussa e oramai rara nel nostro panorama degli ultimi decenni: che può produrre al massimo leader politici, non uomini o donne di Stato, attributo praticamente in disuso dai tempi della prima Repubblica. Se può apparire prematuro un pronostico di conferma della attuale leadership per la legislatura futura per meriti reali, non lo è sulla base del combinato disposto con l’assenza di una opposizione, o di più opposizioni nell’insieme capaci di fornire una idea di alternativa, di ricambio al governo. Di smuovere il sempre più massiccio rifiuto di partecipazione alla politica. Un po’ per la difficoltà perfino di intravedere, dentro le opposizioni, una leadership potenzialmente competitiva con quella attualmente governante, che sia capace di mostrarsi quantomeno immaginabile nel ruolo. Nemmeno valutando la capacità tradizionale dello schieramento progressista, che sia largo o stretto di campo, di disporre e mettere in campo una decorosa qualità e quantità di personale politico: compito al contrario improbo per l’attuale capo di governo, sotto il duplice profilo della qualità personale presente nella coalizione, ma anche della deludente indisponibilità di Meloni a modellare i propri collaboratori secondo valutazioni di merito, o di credibilità, presentabilità, perfino di moralità. Ad allontanare le possibilità di successo progressista, concorrono altri fattori: dalla sottolineatura prevalente delle differenze con i potenziali alleati, un vezzo di buona parte dei possibili pezzi di coalizione, che contrasta con la duttilità dei membri del centrodestra al momento della verifica della coesione, e della comune capacità di sconfessare nel voto tutto quanto solennemente professato subito prima e subito dopo. Ancora: il vizio dell’estremizzazione della coalizione – conclude - con la creazione di un vuoto lì dove stavano le componenti moderate che facevano della coalizione un vero centrosinistra, a partire dalla scelta del candidato alla guida del governo”.
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