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La brutalità con gli alleati

Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani

Redazione InPiù 10/06/2025

In edicola In edicola Giuseppe Sarcina, Corriere della Sera
“Nel confronto a porte chiuse con gli alleati, i governanti trumpiani sono ancora più brutali rispetto a ciò che vediamo in pubblico”. Così Giuseppe Sarcina sul Corriere della Sera ricordando che “da Parigi a Berlino, da Roma a Londra, prende sempre più quota la convinzione che la deriva dei continenti, la distanza politica tra America ed Europa, stia per diventare un dato di fatto. La prova – spiega l’editorialista - deriva da tre indizi, tre dossier di importanza capitale: Ucraina, appunto. Poi Gaza e Iran. Fino a poche settimane fa, Donald Trump pareva ancora oscillare tra le ragioni di Kiev e gli interessi predatori di Mosca. Ma a partire dalla telefonata con Vladimir Putin, il 4 giugno scorso, si sono moltiplicati i segnali di disimpegno nei confronti dell’Ucraina. Gli europei stanno provando a restare agganciati all’America. Il tentativo più concreto si consumerà tra due settimane, nel summit dei capi di Stato e di governo della Nato, all’Aia, in Olanda. Com’è noto quasi tutti i 32 partner dell’Alleanza si sono impegnati ad approvare l’aumento delle spese militari nazionali, come richiesto dagli Usa, portandole al 5% del pil. Il segretario dell’Alleanza atlantica, Mark Rutte, in questi giorni sta facendo il giro delle capitali. Il 12 giugno sarà a Roma e ripeterà alla premier Giorgia Meloni quello che ha già detto agli altri leader: se vogliamo evitare «sorprese» all’Aia, dovete tutti approvare il nuovo target di spesa. Quali «sorprese»? Sempre Rutte ha spiegato: gli americani potrebbero far fallire il vertice e spostare altrove, nell’Indo-Pacifico, le risorse finanziarie. Gli Stati Uniti e la maggioranza dei Paesi europei stanno prendendo direzioni opposte anche su Gaza. Come si è visto mercoledì 4 giugno, in una drammatica riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Vero, l’Unione europea non è ancora compatta su possibili misure, non diciamo sanzioni, da adottare contro Israele. Anche sull’Iran. Qui Trump ha iniziato una trattativa senza consultarsi non solo con gli europei, ma neanche con Israele. In realtà a sorpresa, e tra lo sconcerto dei partner occidentali, il presidente americano ha chiesto aiuto a qualcuno. Chi? Non è difficile: Putin. Sempre nel colloquio telefonico del 4 giugno, Trump ha sollecitato il leader russo a favorire il negoziato sul nucleare con Teheran. In cambio gli americani – conclude - continueranno a mediare tra India e Pakistan, in un’area di comune interesse per Mosca e per Washington”.
 
Maurizio Molinari, la Repubblica
Maurizio Molinari su Repubblica parte dalla ‘rivolta’ di Los Angeles per descrivere quella che definisce “la strategia degli eccessi’ di Trump. “Con l’invio a Los Angeles di 4.000 soldati della Guardia nazionale e 700 marines – scrive l’editorialista - il presidente Donald Trump trasforma la seconda più grande città d’America nella frontiera avanzata della lotta contro l’immigrazione illegale, mettendo in difficoltà il partito democratico e forzando i limiti della sua autorità nei confronti della California, lo Stato più ricco dell’Unione. Lo scontro è frontale e sovrappone tre livelli di crisi: l’uso dei militari dentro le città contro gli illegali; il conflitto di poteri fra governo federale e Stati; la battaglia sulle libertà civili fra Casa Bianca e democratici come avvenne nel 2020 dopo la morte dell’afroamericano George Floyd a Minneapolis. L’ultima volta che un presidente ha usato i militari contro le proteste di piazza avvenne proprio a Los Angeles, nel 1992, quando George H. W. Bush si trovò a fronteggiare i disordini seguiti all’assoluzione degli agenti bianchi accusati dell’aggressione all’afroamericano Rodney King. Ma all’epoca il governatore e il sindaco della città erano d’accordo con la Casa Bianca mentre ora è l’opposto. Da qui l’interrogativo sulle conseguenze dell’arrivo dei militari a Los Angeles. Anche perché – osserva Molinari - Trump si dice pronto a «inviarli ovunque» dovessero esserci disordini simili e aggiunge che novemila illegali verranno incarcerati a Guantanamo, sull’isola di Cuba. A spingere il presidente verso la prova di forza sono i sondaggi che descrivono il ventre dell’America. Per Cbs News/YouGov il 54 per cento è a favore delle espulsioni di illegali e il 46 contrario, con un significativo 78 per cento che imputa ai democratici di essere stati ‘inefficaci’ durante l’amministrazione Biden. Questo spiega perché Trump ha un indice di approvazione sull’immigrazione del 50 per cento rispetto al 45 generale e a un 42 per cento sull’economia, dovuto all’impatto negativo dei dazi. Sono numeri che suggeriscono la convinzione di Trump di poter recuperare con la lotta ai clandestini il consenso perduto sull’economia, riuscendo a mettere alle strette gli avversari liberal al Congresso e anche ad aprire la partita per il governatore della California, dove si voterà in coincidenza con Midterm”.
 
Flavia Perina, La Stampa
“l vertice di maggioranza sul fine vita di ieri ha fatto notizia per due cose che non c’entrano niente col tema,  e cioè la lite tra Lega e Forza Italia e in materia di terzo mandato e pace fiscale”. Lo scrive Flavia Perina sulla Stampa sottolineando che questo “non è che l’ultimo segnale di un’agenda dei diritti che resta ostinatamente irrilevante, dimenticabile, chiusa malgrado tutto, comprese le dichiarazioni di intenti dei leader. Si sa, ad esempio, che Antonio Tajani è favorevole allo Ius Culturae, cioè la cittadinanza ai bambini di origine straniera che hanno fatto due cicli scolastici in Italia. E però quell’orientamento resta lì, nel limbo dei desideri espressi ad alta voce, senza nessuno che lo prenda sul serio (pure Giorgia Meloni, in altre ere, era d’accordo, ma ora che governa figuriamoci). Sul diritto dei malati a rifiutare una vita non più dignitosa, insostenibile, la Lega ha persino legiferato in Veneto, la sua roccaforte, ma poi non se ne è fatto niente perché con un gioco d’aula si è preferito affossare una legge che sembrava già fatta. Stesso copione – osserva l’editorialista - per l’adozione da parte di coppie dello stesso sesso, che in teoria è citata da tutti come alternativa alla fecondazione eterologa (per le donne) o all’utero in affitto (per gli uomini), ma senza che si faccia un tentativo in quella direzione, e nemmeno un dibattito serio. Non è un problema che riguardi solo la destra. Durante la sua lunga stagione a Palazzo Chigi anche la sinistra si è ritratta da questi argomenti assai concreti, preferendo cavalcare una generica sensibilità “woke” che conservava il profumo del progressismo senza averne la sostanza: governare le evoluzioni della società trovando soluzioni nuove a problemi nuovi. L’insuccesso clamoroso del referendum sulla cittadinanza, forse il più attuale tra quelli proposti agli italiani, conferma la confusione che c’è anche da quella parte e la trasversalità dell’Italia reazionaria. Il ‘modello Orban’ non è prerogativa dei soli elettori della destra, e non sono solo i leader della destra ad avere paura della fascia di elettorato ostile a ogni avanzamento dei diritti sociali e individuali. E tuttavia, la parola d’ordine resta fare melina. Vertici che non portano a niente, dichiarazioni di principio senza conseguenze, leggi scritte e disfatte, una generale logica del vorrei ma non posso che è il contrario del coraggio politico ostentato in ogni occasione e della propensione all’estremismo che gli osservatori annotano con preoccupazione”.
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