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I dati e i timori dell'opposizione

Sintesi degli editoriali dei principali quotidiani

Redazione InPiù 09/06/2025

I dati e i timori dell'opposizione I dati e i timori dell'opposizione Massimo Franco, Corriere della Sera
Se l’andamento della partecipazione di oggi confermasse quella di ieri, commenta Massimo Franco sul Corriere della Sera, la spallata per via referendaria contro il governo potrebbe dirsi fallita. L’ottimismo mostrato dai promotori nelle ultime ore per agguantare il quorum si è rivelato più d’ufficio, quasi scaramantico, che non basato sudati reali. È possibile che lo schieramento delle sinistre più i Cinque Stelle, amalgamati dall’agenda «sociale» della Cgil, alla fine possa raggiungere un risultato tale da poter dire che, pur sconfitto, ha un po’ vinto. Le urne rimarranno aperte fino alle tre del pomeriggio di oggi, e in teoria tutto è possibile. Ma l’affluenza registratasi fino a ieri sera non era confortante: al punto che c’è da chiedersi se avere politicizzato i cinque referendum su lavoro e cittadinanza abbia favorito o meno la partecipazione. E pensare che il comportamento assai poco impeccabile di alcuni avversari, dal presidente del Senato, Ignazio La Russa, alla premier Giorgia Meloni, al suo vice Matteo Salvini, probabilmente ha contribuito alla mobilitazione referendaria. Avere fatto campagna per l’astensione, o annunciato di andare ai seggi senza ritirare le schede, oltre che inelegante ha irritato e dunque indotto a reagire almeno una parte degli scettici. Ma se il risultato finale fosse quello che si delineava ieri notte, diventerebbe deludente per i promotori. Invece di essere una sorta di seconda tappa dell’onda vincente delle elezioni regionali di maggio, il risultato si trasformerebbe in una brutta battuta d’arresto. Può darsi che questa mattina si registri un miracoloso recupero. Pensare che ci si avvicini al quorum, tuttavia, sarebbe una scommessa azzardata. E questo riconsegna alle opposizioni un enorme punto interrogativo su strategia e alleanze. L’asse Pd-M5S, e cioè Elly Schlein-Giuseppe Conte, benedetto e quasi egemonizzato dal maggiore sindacato, può reggere e riempire le piazze, ma non sembra ancora in grado di allargare la platea dei consensi. E sia il distacco di una parte del Pd, la più moderata, sia l’adesione tattica ma assai poco convinta dei centristi di Carlo Calenda e Matteo Renzi, ripropongono il tema di un cartello elettorale, non di una coalizione in grado di governare.
 
Marco Mondini, la Repubblica
Sostiene l’onorevole Giuseppe Conte che aumentare le spese per la difesa sia una follia. In tre anni, osserva su Repubblica Marco Mondini, da quando l’invasione russa dell’Ucraina ha riportato la guerra tra le priorità della vita europea, l’ha proclamato un certo numero di volte. Ultimamente alla manifestazione romana del 5 aprile. E il 13 maggio a Bruxelles, guidando una delegazione di giovani del Movimento 5 Stelle per protestare contro la «strategia bellicista» e i piani di riarmo dell’Unione europea. Conte non è certo l’unico a dirlo. Anzi. La falange di esponenti politici e opinionisti che lo ripete nelle piazze e nei salotti tv è nutrita. Tutti insieme formano quella che gli studiosi del linguaggio chiamerebbero una “comunità discorsiva”. Condividono una narrazione, alcuni assunti ideologici, parole d’ordine. E molte formule retoriche ricorrenti. Alcune sono popolari, e Conte le usa spesso. «Se le armi vengono prodotte poi devono essere usate», è una. «Se la minaccia non c’è deve essere creata», è un’altra. La prima è curiosa, visto che contraddice decenni di studi sulla deterrenza e sugli equilibri che hanno reso possibile, nell’armatissimo mondo della Guerra fredda, garantire un buon mezzo secolo di pace al vecchio mondo. Una garanzia che è scomparsa quando europei e statunitensi hanno smesso di credere che fosse utile investirci. Lo ha ricordato Andrés Gannon, scienziato politico alla Vanderbilt University, pubblicando un anno fa, sul Journal of Conflict Resolution, un elenco di vent’anni di aggressioni russe, convenzionali e no, dall’intervento in Georgia nel 2008 fino alla guerra ibrida a base di disinformazione e sabotaggi che ha toccato quasi ogni angolo del continente. In quanto all’ipotesi che oggi non esista una reale minaccia per l’Europa, il massimo che si possa dire è che chi lo pensa ha un’immaginazione fervida.
 
Alessandro Sallusti, Il Giornale
Tony Blair, icona della sinistra europea e per dieci anni - dal 1997 al 2007 – primo ministro laburista del Regno Unito, nella sua autobiografia On Leadership sostiene, con una buona dose di coraggio e onestà intellettuale, che quando sei all’opposizione conta quel che si dice, quando sei al governo quel che si fa e che le due cose raramente coincidono. Calato nel concreto – osserva sul Giornale Alessandro Sallusti – significa che se oggi la sinistra fosse al governo del Paese i suoi leader non potrebbero convocare la piazza contro un capo di Stato straniero, come è successo sabato per Netanyahu, né dileggiare il presidente degli Stati Uniti, come avviene regolarmente con Trump, perché l’Italia verrebbe esclusa dal consesso internazionale; né la sinistra al governo potrebbe finanziare tutti i progetti - dalla sanità agli stipendi minimi - di cui si riempie la bocca, pena far saltare in aria i conti pubblici. Ovviamente l’opposizione deve fare il suo lavoro, essere contro la maggioranza è parte centrale e legittima della sua missione. Ma se al contempo non costruisce non soltanto un progetto politico credibile, ma anche un sogno da contrapporre alla prima occasione utile, il suo opporsi resterà un abbaiare alla luna. In anni, situazioni e con motivi diversi Berlusconi prima, Salvini poi e infine Giorgia Meloni, ma sul fronte opposto pure Renzi e Grillo, hanno acceso sogni e speranze di milioni di italiani incassando il giusto premio nelle urne. Oggi a sinistra non vedo nulla di tutto questo, nelle parole retoriche e negli atteggiamenti arroganti di Elly Schlein e Giuseppe Conte non c’è neppure un barlume di sogno: non trasmettono emozione ma solo rabbia e rancore nei confronti degli avversari. Come si può pensare di invertire l’aria che tira aggrappandosi a un referendum inutile e costoso promosso dalla Cgil di Maurizio Landini, un vetero comunista nato già vecchio, che parla di cose fuori dal tempo con la bava alla bocca?
 
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