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Naim: “Casa Bianca senza strategia, sui dazi si muove a caso. Ma l'Ue non è coordinata”

Francesco Semprini, La Stampa, 5 giugno

Redazione InPiù 07/06/2025

Naim: “Casa Bianca senza strategia, sui dazi si muove a caso. Ma l'Ue non è coordinata” Naim: “Casa Bianca senza strategia, sui dazi si muove a caso. Ma l'Ue non è coordinata” «Donald Trump non segue una strategia precisa in materia di commercio, si muove a tentativi sui dazi, con slanci in avanti e brusche frenate. Al contempo l’incapacità di coordinamento da parte dell’Unione europea rende il negoziato tra Washington e Bruxelles assai complicato e ostaggio di isterismi». Intervistato da Francesco Semprini per La Stampa del 5 giungo, Moses Naim, esperto del Carnegie Endowment for International Peace, secondo cui l’Europa, e l’Italia in particolare, hanno «un’arma nemmeno  troppo segreta» che si chiama Giorgia Meloni, analizza gli attuali scenari geopolitici: «La premier – afferma - può dare un contributo unico nel comporre le divergenze e superare i contrasti tra le due sponde dell’Atlantico». Donald Trump appare senza freni sui dazi, cosa c’è nella testa del presidente americano in materia di commercio? «C’è un poema sinfonico del 1897 titolato “L'Apprenti Sorcier” (l’Apprendista Stregone), scritto dal compositore francese Paul Dukas, che credo possa essere la descrizione calzante del comportamento di Trump. Il presidente non sa cosa strafacendo, lo scopre giorno dopo giorno in maniera empirica. Ne risultano slanci in avanti e brusche frenate, contorsioni istituzionali a cui seguono voli pindarici di carattere politico. Il rischio è che si possano produrre danni che sarà complicato recuperare». Sta dicendo che nulla è pianificato? «Trump sta facendo esperimenti, quello che appare chiaro è che non c’è una strategia precisa, ci sono discorsi urlati, grandi denunce ma non c’è una pianificazione precisa con degli obiettivi e dei percorsi messi a punto assieme a una squadra di esperti. Il presidente tira delle bombe, vede cosa succede e a volte si sente obbligato a fare marcia indietro». È tutta farina del suo sacco? «Ho parlato con gente molto vicina a quello che sta succedendo a Washington, persone che dovrebbero essere parte della squadra di addetti ai lavori che analizza i dati e va a negoziare. Ebbene loro stessi scoprono qual è la politica dell’amministrazione per cui stanno lavorando leggendo i giornali, guardando la tv o seguendo i social media». Il problema è a senso unico? «No. Esiste un problema anche sull’altra sponda dell’Atlantico in termini di coordinamento, anche in materia di dazi, e questo deriva dalle differenti specificità degli Stati membri. L’Italia punta a tutelare di più moda, agroalimentare e meccanica industriale, la Germania lavora per l’automobile, la Francia si adopera su aeronautica e cosmetica, e via dicendo. Quindi c’è difficoltà a trovare una strategia comune da parte dell’Unione e a negoziare con gli Usa. Ciò spazientisce Trump che è un presidente transattivo e immediato». Questo non rischia di far saltare il tavolo? «C’è stata da parte di Trump l’illusione che fosse facile negoziare. Io sono stato ministro del Commercio interno del Venezuela, il mio Paese, e non c’è cosa più complicata che trattare in questa materia basata su relazioni assai complesse che non possono essere gestite a distanza, con proclami urlati o telefonate tirate via. Il presidente americano si è illuso di poter incassare i risultati sperati solo con le sue dichiarazioni o il peso muscolare di uomo forte alla Casa Bianca, e ora sta scoprendo che ci sono dinamiche assai complicate. Al contempo Bruxelles conferma le sue croniche debolezze, acuite per di più dall’eccessiva burocrazia che talvolta caratterizza l’Ue». A cosa mira Trump? «Lui si immagina un mondo in tre dimensioni spartito tra Usa, Russia e Cina, con Washington, Mosca e Pechino che esercitano il proprio potere in specifiche zone di influenza. Questa nuova tettonica a zolle in 3D, per mutuare un termine scientifico, dovrebbe regolare anche le dinamiche commerciali ed economiche globali. Una geometria però molto più facile da tracciare in linea teorica, nella pratica ci sono degli evidenti limiti».
 
Una geometria in cui l’Europa dove si collocherebbe? «Si collocherebbe sotto la sfera di influenza degli Stati Uniti, in linea subalterna. Occorre fare una digressione: il progetto europeo riguarda Paesi che hanno una storia comune e condividono i valori della democrazia e della pace, ma hanno interessi specifici diversi. Ogni Stato membro ha la propria agenda di interessi questo rende l’Unione, in più occasioni, disomogenea. Quello a cui assistiamo quindi è un’Europa talvolta capace di operare come un corpo unico, come ad esempio è avvenuto nel sostegno all’Ucraina subito dopo l’invasione da parte della Russia, il 24 febbraio 2022. E questo ne ha fatto una realtà forte. Il prevalere successivo delle agende nazionali, di interessi specifici e delle derive sovraniste, ne ha eroso la compattezza e la forza. Allo stesso modo, su altri temi, il Vecchio continente non è in grado di agire in maniera organica e compatta, i dazi sono uno di questi casi, dove le differenze prevalgono». Come può il Vecchio continente uscire da questa impasse, sia sul piano geopolitico che sul piano pratico del commercio? «L’Europa, l’Italia in particolare, hanno un’arma nemmeno troppo segreta, che si chiama Giorgia Meloni. Trump considera la premier assai vicina a lui e alle sue posizioni, la sente come una compagna di viaggio. La presidente Meloni gode del rispetto di tutta l’amministrazione a stelle e strisce e, in questo senso, l’Italia ha una marcia in più rispetto a tutti gli altri in Europa». Cosa intende? «Se Trump dovesse veramente decidere a luglio di mettere i dazi al 50% all’Ue, la prima a chiamare alla Casa Bianca sarebbe Gorgia Meloni. E il presidente Usa si aspetterebbe proprio questo. Bruxelles ne deve prendere atto e comportarsi di conseguenza, altrimenti l’Ue rischia di deragliare. La Premier italiana è un’arma anche per l’Europa». Quanto tempo ci vorrà per vedere Trump incassare il primo successo sul piano diplomatico? «Il presidente Usa non ha bisogno di questo, di successi diplomatici o geopolitici, per lui contano le transazioni e il business, come quelle perfezionate durante la sua missione nel Golfo, grazie alla quale ha portato in Usa migliaia di miliardi di petrodollari. Anche il perseguimento della pace in Ucraina è uno strumento per arrivare a una nuova fase di sviluppo delle relazioni economiche e commerciali, sia con Kiev che con Mosca».
 
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