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Generale Mini: «Se l'America si sfila, l'Europa in guerra dura meno di un anno»

Laura Della Pasqua, La Verità, 2 giugno

Redazione InPiù 07/06/2025

Generale Mini: «Se l'America si sfila, l'Europa in guerra dura meno di un anno» Generale Mini: «Se l'America si sfila, l'Europa in guerra dura meno di un anno» La trattativa sull’Ucraina sembra arenata. E l’Europa, sempre più spaccata, sta a guardare e se l'America si sfila l'europa dura meno di un anno. Lo afferma in un'intervista a Laura Della Pasqua per La Verità del 2 giugno, Fabio Mini, generale di Corpo d’Armata, già capo di Stato Maggiore del comando Nato del Sud Europa e comandante della missione internazionale in Kosovo, e autore del libro La Nato in guerra. Dal patto di difesa alla frenesia bellica, ha esperienza sul campo di conflitti e da analista geopolitico ci fa uno scenario di quali potrebbero essere le prossime evoluzioni della guerra e del ruolo dell’Europa nella trattativa di pace. Generale, a che punto siamo? «Ad un punto molto critico per l’Ucraina. Non tanto per l’avanzata russa ma per la ormai insostenibile carenza di armamenti e uomini, oltre alla completa mancanza di un efficace controllo dello spazio aereo e terrestre. Gli stessi ucraini da oltre un anno affermano che senza un aiuto concreto e massiccio da parte dell’Occidente, e in particolare degli Stati Uniti, la guerra è perduta. Con l’arrivo di Trump la situazione è peggiorata, nonostante gli Stati Uniti continuino a fornire armi, intelligence e logistica. Quella che è venuta meno è la certezza del coinvolgimento americano nel conflitto: un obiettivo che l’Ucraina ha sempre perseguito e che in una certa misura ha conseguito. Analisti statunitensi informati e affidabili come Mearsheimer, Mac Gregor, Sachs e altri, dichiarano apertamente che l’America non sta conducendo soltanto una guerra proxy usando l’Ucraina contro la Russia, ma è cobelligerante. E perciò la pretesa di Trump di passare per mediatore ‘terzo’ è un falso o per lo meno un controsenso». Quale è il vero obiettivo di Trump? «Quello dichiarato è finire la guerra per via degli enormi costi umani e materiali. Manon è quello vero. Se lo fosse, dovrebbe dare un’occhiata a cosa succede a Gaza e lì lui ha una  responsabilità diretta. Il suo appoggio a Israele ha incentivato la deriva nazionalista che si sta dimostrando disumana. Penso che intimamente Trump abbia proprio lo scopo dichiarato il giorno dell’insediamento: vuole passare alla storia come un peacekeeper, È un aspetto che riguarda il suo egocentrismo contraddittorio. Vorrebbe riuscire a far diventare l’America di nuovo grande. Il che significa che non lo è più, come ha più volte dimostrato in campagna elettorale, e invece agisce come se potesse permettersi dì imporre la sua volontà a tutti. Tuttavia questo evidente narcisismo potrebbe essere utile a riformare l’ordine mondiale ed avere successo se fosse accompagnato da una chiara visione del mondo attuale e dei suoi interlocutori, amici e nemici. Credo che né lui né altri nel suo entourage, manifesti e occulti, abbiano questa consapevolezza. Così come non hanno contezza degli effetti del tentativo di smantellare il Deep State che ha sempre gestito la politica estera, l’intelligence, le forze armate e il complesso militare-industriale».
 
Se dovesse fallire la diplomazia sull’Ucraina è pensabile che tra Trump e Putin possa andare avanti il dialogo su altri fronti, dal Medio Oriente al business sull’Artico? «Più che il dialogo penso che andranno avanti le pretese. Trump non accetterà mai la sconfitta diplomatica in Ucraina. Cercherà in tutti i modi di farla passare per un successo o una colpa degli altri. Se non riesce a far valere la sua diplomazia (ma chiamarla così è un insulto ai diplomatici) cercherà la rivincita in altre questioni internazionali agendo con maggiore asprezza». Che succede se gli Usa decidono di disimpegnarsi dal conflitto senza un accordo di pace? «Dipende dal tipo di disimpegno. Se cessano di sostenere l’Ucraina la guerra è definitivamente persa, ma la Russia non potrebbe vantare il merito della vittoria. Se disimpegna soltanto parte delle forze statunitensi in Europa ma continua a sostenere Kiev attraverso la Nato, il conflitto si allarga e si alza di livello sia politico che militare con il ricorso anche alle armi nucleari». Gli europei sono spaccati tra volonterosi e chi, come l’Italia, è in una posizione terza. «Intanto l’Italia è un bene che abbia una posizione più riflessiva dei volenterosi, ma non è sufficiente. I cosiddetti volenterosi dimostrano di essere chiaramente nel panico e cercano qualsiasi pretesto per tenere coinvolti gli Stati Uniti. Sanno che senza di essi non solo cade tutto l’impianto ideologico della guerra alla Russia, ma vengono a mancare tutte le strutture fondamentali per la difesa collettiva a partire dal controllo dello spazio, delle comunicazioni, delle informazioni e del sistema di comando e controllo integrato. La grande pressione che cercano di fare con l’invio di missili e altre iniziative come le sanzioni non è rivolta alla Russia ma agli Stati Uniti. La pressione apparente esercitata dai “volenterosi” è un bluff pericolosissimo, perché la Russia si sta già organizzando per “vederlo”». Il cancelliere tedesco Merz ha detto che i missili tedeschi e di Regno Unito, Francia e Stati Uniti, non avranno più limiti nel colpire bersagli sul territorio russo. Cosa vuol dire? «I missili tedeschi o degli altri (che sono operati da europei, su informazioni americane, sotto protezione statunitense), potranno colpire la Russia in profondità. La Russia ha anticipato che dottrinalmente è una eventualità già prevista e che comporta la risposta russa sui Paesi da cui partono e su quelli che li hanno forniti e gestiti. Tuttavia anche se la Russia non colpisse la Germania o la Gran Bretagna, la fine dell’Ucraina sarebbe segnata. Come per la ex  Jugoslavia, si sta già pensando alla ex Ucraina, e non solo in Russia».
 
Cosa accade all’Europa se resta da sola a sostenere il conflitto? «Una decina d’anni di guerra di logoramento. Scontri frammentari, battaglie aeree, droni dappertutto. L’Europa ha la capacità accertata di condurre questo tipo di guerra in Ucraina o per l’Ucraina per meno di un anno. Oggi con il presunto piano di riarmo conta di avere cinque anni di tempo per prepararsi a sostenere uno sforzo maggiore. Ma se questi anni devono essere di guerra, la preparazione si trasforma in consumi insostenibili dalla struttura dell’intera Europa. La Russia sarebbe in difficoltà, ma si farebbe più concreta la  prospettiva che la Cina la sostenga anche militarmente. La capacità  produttiva cinese di armamenti, missili, droni e carri armati è immensa. Oggi due conglomerati producono diecimila missili alla settimana. Inoltre, l’Europa non è unita e non c’è nemmeno un’entità che possa dirigere le operazioni. La Nato potrebbe mettere a disposizione i propri assetti come ha fatto in Afghanistan. Ma il risultato non è stato esaltante. Anche in altre operazioni la Nato si è proposta come organizzazione regionale di riferimento con o senza il consenso dell’Onu. L’avversario però non è un gruppo di ribelli o di pirati da quattro soldi e la Nato senza Usa, oltre ad essere fallita, non rappresenterebbe nessuno». Esiste un pericolo Russia per i Balcani e per i Paesi ex sovietici? «Sì, nella misura in cui in queste aree e soprattutto nel Baltico, si continuino ad esercitare la provocazione e la fobia etnica». Perché Putin non si ferma accogliendo la mano tesa da Trump? Quale è il suo obiettivo? «Perché la mano non è tesa, anzi è in continua agitazione e alterna le carezze ai ceffoni; perché Trump scambia la gentilezza formale per  acquiescenza. Putin continua a ripetere, da dieci anni almeno, che vuole una fascia di sicurezza ai propri confini. Non vuole né armi occidentali, né nazisti al governo di popolazioni russe. Questa fascia di sicurezza comprende l’Ucraina ma non solo. Parte dalla Scandinavia e arriva fino al Caucaso e al Mar Nero. La Russia si sente minacciata e se si guarda la carta geografica, con le acquisizioni di territori da parte della Nato e degli alleati degli americani anche nel Mediterraneo, non è una percezione sbagliata. Se poi si guarda allo schieramento di forze militari e all’arroganza dei piccoli Paesi nel provocare la Russia, sperando nella forza americana o europea, la percezione diventa una preoccupante realtà. Trump aveva promesso una pace negoziale, se non ci riesce la Russia ha la volontà e la capacità di organizzare la fascia di sicurezza da sola: con la diplomazia o la forza. Il paradosso è che tale fascia darebbe serenità e sollievo ai Paesi interessati e all’intera Europa. Evidentemente la serenità non è voluta». L’Ucraina vuole una tregua subito prima di un eventuale accordo e non vuole cedere territori, l’impressione è che sia in una posizione intransigente mentre sul campo è in palese svantaggio. Dove vuole arrivare Zelensky? «Anche lui ha problemi di ego. Vuole sconfiggere Mosca e diventa più intransigente nel momento in cui si rende conto che non può farlo. Che ha sacrificato la propria nazione non solo per non ottenere nulla, ma per perdere anche ciò che ha. Una grande responsabilità per questo atteggiamento nichilistico è però dell’Occidente: gli Usa, col loro intervento in cobelligeranza o la loro regia nella guerra per procura, lo hanno illuso che poteva farcela. Gli europei si stanno sostituendo nella creazione di illusioni ma per interessi che nulla hanno a che fare con la sicurezza, Ricordo che ai tempi di Biden, il segretario alla difesa (ex militare) Austin aveva dichiarato di voler ‘depotenziare’ la Russia. La parola, che ha un significato vago per chiunque, per i militari è precisa e minacciosa: si riferisce ai fattori di potenza di una nazione. In pericolo sono le persone, l’economia, la sovranità, la cultura e la capacità militare. Forse lui non ci aveva fatto caso, ma i russi conoscono bene la dottrina militare e il significato delle parole». I russi dicono che possono continuare a lungo. Ma fino a quando possono sostenere questo sforzo? «Per un lungo periodo, non all’infinito. Contare però sullo sfinimento dell’avversario significa avere la certezza di non sfinirsi prima di lui. Ho l’impressione che siamo su questa strada». 
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